Game Over…?

Game Over…?

di Paolo “pasha” Pozzi

Dieci giorni.
Questa l’aspettativa di vita di un paziente chiamato Hockey Club Spartak Mosca.
Il primo giugno, infatti, uno dei club più prestigiosi della storia dell’hockey russo, che quest’anno dovrebbe peraltro festeggiare i 60 anni di attività, con ogni probabilità cesserà di esistere.

Andiamo con ordine.

Nel corso della passata stagione, chi scrive è più volte tornato sulla questione della lotta di potere ai vertici dell’hockey russo, lotta che si è protratta per lunghi mesi e che ha visto Vjacheslav Fetisov, ministro dello sport russo, prevalere sul rivale, Aleksandr Steblin, presidente della PHL (la Lega Professionistica di Hockey) e della FHR (la FederHockey russa).
In seguito all’incidente di San Pietroburgo (durante la finale del SuperSix, uno Steblin visibilmente fuori di sè aveva dato in escandescenze nella sala VIP del palazzetto pietroburghese, insultando tra gli altri anche il presidente della IIHF, René Fasel) Steblin è stato costretto a dimettersi dapprima dalla carica di presidente della Lega, e poi, sotto le continue pressioni (di stampa e politiche) anche da quella di presidente della Federazione.

Il suo posto alla PHL è stato preso da Vladimir Shalaev, ex vicepresidente, anche se è indubbia la grandissima influenza esercitata da due membri del Consiglio della PHL, Mihajl Marlegov e Pavel Krasheninnikov, vicini all’entourage di Putin (il secondo, oltre che vicepresidente del Magnitogorsk, è deputato alla Duma eletto nel partito del presidente russo, “Edinaja Rossija” – Russia Unita).
Quanto alla FHR, a fine aprile è stato eletto presidente Vladislav Tretjak, celeberrimo ex-giocatore del CSKA (come Fetisov) e anch’egli deputato di Edinaja Rossija, nonchè presidente del Comitato Parlamentare per la Cultura Fisica, lo Sport e le Politiche Giovanili.

Dieci giorni fa, in occasione del primo incontro con dirigenti e allenatori di tutti i club, il neoeletto presidente della Federazione ha deluso buona parte dei club non dando spiegazioni su quanto intendesse fare per il futuro dell’hockey russo e limitandosi a parlare dei problemi della nazionale; tra gli altri, i più piccati sono stati i commenti dei coach del Molot e del Salavat, che hanno lamentato a gran voce il fatto che, a parte aver ricordato di avere il sostegno di Putin, Tretjak non abbia detto null’altro, mettendo fine all’incontro prima ancora che ci fosse il tempo di affrontare le tante questioni aperte.

Vediamole, le questioni: la prima mossa delle nuove dirigenze di Lega e Federazione è stata, a fine aprile, l’introduzione di nuove regole per la prossima stagione.

Per cominciare, il “salary cap“, il tetto massimo di spesa dei club, stabilito a 300 milioni di rubli (circa 10 milioni di euro). Sugli importi in eccesso, i club saranno tenuti al pagamento di una tassa pari al 50%.
Fin qui, tutto bene, almeno in teoria. Perchè analizzando la cosa più a fondo vengono fuori le magagne.
Tanto per cominciare, nella somma di 10 mln. di euro sono compresi i premi, ma sono esclusi gli stipendi degli allenatori e del giocatore più pagato. Nulla quindi vieta ad Abramovich & Co. di prendere uno Jagr e pagarlo 20 milioni di euro a stagione, se vogliono, tanto quello stipendio non sarebbe incluso nel tetto salariale. Quanto una politica del genere possa però aiutare l’hockey russo, resta alquanto dubbio per chi scrive.
Ma la cosa peggiore è che si è introdotto non solo un tetto massimo di spesa, ma pure un tetto MINIMO, di circa 4 milioni di euro per i soli stipendi dei giocatori, cui vanno aggiunte tutte le altre spese che un club deve sostenere, dalla manutenzione dei palazzetti alle tante e costose traferte, agli stipendi dei dirigenti e così via.
Questo, unito ad un’altra nuova regola, che vuole che le squadre dimostrino, documenti bancari alla mano, di essere in grado di spendere l’intera somma già ben prima dell’inizio del campionato (oltre ad ulteriori garanzie finanziarie), ha messo in crisi più di un terzo delle squadre che dovrebbero prendere parte alla prossima Superliga (che nel progetto di Fetisov & Co. doveva essere a 20 squadre, divise in conferences sul modello NHL).
Sette squadre su 20 non sono state in grado di presentare entro il 2 maggio (niente di sorprendente, difficile correre ai ripari in meno di una settimana!) le garanzie richieste: Dinamo Mosca, Spartak Mosca, Lada Togliatti, HK MVD Tver’, Molot-Prikam’e Perm’, Traktor Cheljabinsk e Kryl’ja Sovetov Mosca.
Il Molot ha ormai dovuto rinunciare alla partecipazione, restano dubbie le posizioni di Lada, MVD e Traktor, anche se per le prime due dovrebbe essere più fattibile la partecipazione, mentre il Kryl’ja Sovetov si dovrebbe salvare sicuramente grazie al foraggiamento dei petrolieri che stanno dietro al club.
Difficilissima infine la situazione per i due club capitolini.
La Dinamo ha ancora oltre dieci milioni di euro di debiti accumulati nella passata stagione, e non si sa proprio dove possa andare a recuperarli.
Quanto allo Spartak, che da anni sopravvive con uno dei budget più poveri della Superliga (la scorsa stagione solo il Molot aveva un budget più magro di quello dei biancorossi, che si aggirava per la precisione intorno ai 5 milioni di euro), le cose sono ancora più nere.

Giova ricordare che il club moscovita fin dai tempi sovietici è stato un po’ la “cenerentola” tra i grandi: mentre gli altri team famosi potevano contare sul sostegno delle istituzioni (l’esercito per il CSKA, il Ministero degli Interni – Polizia & KGB – per la Dinamo, le Ferrovie di Stato per la Lokomotiv, etc.), lo Spartak era sostenuto da piccoli sindacati moscoviti [una curiosità: il nomignolo “mjaso” (=carne) dato allo Spartak deriva proprio dal suo essere stato per diversi anni la squadra del sindacato dei lavoratori di una fabbrica di carne in scatola]. Proprio per questa sua indipendenza dal regime, lo Spartak era tra l’altro la squadra degli scontenti, dei liberi pensatori (e poteva essere pericoloso, per un poliziotto od un militare, tifare apertamente Spartak).
Alla fine del regime poi sorsero nuove squadre “provinciali” (cioè, lontano da Mosca, in Siberia e negli Urali) finanziate dai nascenti oligarchi del petrolio, del gas, delle miniere eccetera.
E lo Spartak rimase una Cenerentola, salvato dalla scomparsa nel 1999 con la creazione del “Fondo di Sostegno”, organismo con a capo Igor’ Shabdurasulov [proveniente dall’entourage di Berezovskij, oligarca sostenitore di El’cin, successivamente esiliato da Putin] il cui scopo è la ricerca di finanziatori, spesso piccoli e frammentati, e la raccolta di fondi in grado di salvare, anno dopo anno, il club moscovita, uno dei più prestigiosi della storia e con una delle migliori scuole hockeystiche giovanili, basata sul vecchio palazzetto di proprietà del club, il Sokol’niki, che compie 50 anni quest’anno.

Ora, il maggior finanziatore del Fondo di Sostegno è stato finora il Municipio di Mosca (per questo, anche se un po’ semplificando, lo Spartak è stato definito anche “la squadra del Municipio di Mosca”).
Finora, perchè nel 2005 il maggior sostenitore dell’hockey capitolino, il vice-sindaco Valerij Shancev, è stato mandato a fare il Governatore a Niznhij Novgorod (e tutto fa pensare che la rimozione di Shancev non sia estranea nemmeno ai problemi finanziari della Dinamo).
Shabdurasulov ha chiesto più volte, fin da dicembre, al sindaco Luzhkov di spiegare se intende tenere fede agli impegni presi dal suo vice per la stagione entrante, ma finora non ha ottenuto alcuna risposta.
Agli inizi di maggio, i tifosi spartakisti hanno inviato a Luzhkov una petizione, firmata anche dai calciatori del Football Club Spartak, per sollecitare una sua risposta.
Nel frattempo, la PHL ha concesso più tempo a Spartak e Dinamo per la presentazione delle garanzie finanziarie: dapprima fino al 15 maggio, ed ora fino al primo giugno.
Questo dovrebbe essere il termine definitivo entro il quale si saprà cosa accadrà ai due club.

Da parte spartakista, Shabdurasulov ha rilasciato una lunga intervista a Sport-Ekspress, in cui ha dichiarato diverse cose importanti.
Da un lato, la squadra moscovita non ha alcuna intenzione di giocare in Vysshaja Liga [la “serie B”]; a detta del presidente del FdS, stante il livello di quella serie, sarebbe solo uno spreco di soldi. La soluzione quindi sarebbe drastica: la fine della squadra.
Shabdurasulov ha detto senza mezzi termini che non sa dove andare a parare, ha già fatto più e più volte il giro delle istituzioni e dei privati che potrebbero salvare lo Spartak, ma senza successo. Temendo che potenziali investitori siano tenuti lontani dalla sua figura (essendo lui un ex-berezovskiano, dargli soldi potrebbe finire con l’essere mal visto dal Cremlino – senza scordare che Putin non ha mai nascosto di non essere affatto interessato all’hockey), il presidente del FdS si è detto pronto a farsi da parte, se questo può evitare la fine della squadra.
Ulteriori problemi dipendono dal fatto che mentre nelle province lontane finanziare lo sport può essere un mezzo semplice e poco dispendioso, da parte dei politici, per raccogliere percentuali di voti a due cifre, questo non vale a Mosca, dove l’hockey è ormai poco seguito.
Con budget più ridotti, sarebbe ancora possibile sopravvivere, trovando sponsor disposti a spendere poco e guadagnare poco o nulla. Ma con il tetto di spesa minimo e le altre garanzie richieste, si tratterebbe di trovare finanziatori disposti a spendere tanto e guadagnare poco o nulla. Impresa decisamente ardua.
Tretjak ha fatto sapere settimana scorsa che le squadre che non dovessero partecipare alla prossima Superliga potranno accedervi l’anno successivo se per allora saranno in grado di soddisfare le garanzie finanziarie richieste. Ma anche questo è un segnale preoccupante, sembra più che altro un modo per tentare di tener buoni i tifosi ventilando barlumi di speranza poco realistici: dopo un anno di stop, o un anno in Vysshaja Liga a ranghi ridottissimi, dove potrebbero andare a recuperare i soldi le squadre in questione?

Insomma, dopo l’entusiamo iniziale che aveva accompagnato da parte di molti la vittoria di Fetisov & Co. su Steblin, in Russia ci si comincia ad accorgere che forse avevano ragione i più pessimisti.
Quelli che dicevano, tra le altre cose, che Fetisov non era il salvatore dell’hockey russo, ma solo un politico interessato a mangiare una grossissima fetta di torta, e che dulcis in fundo dietro di lui c’erano interessi d’oltreoceano.
Non serve infatti essere dietrologi all’ultima spiaggia per chiedersi a chi finirà col giovare quanto sta accadendo.

Con diverse squadre in meno del previsto, la nuova Superliga nascerebbe coi piedi d’argilla. Della debolezza del campionato russo ne approfitterebbe la NHL, che potrebbe trovarsi con un serbatoio di giocatori di buon livello a basso costo.
Tretjak e Fetisov parlano di cercare un accordo con la NHL per aumentare la somma che i club nordamericani dovrebbero pagare ai club russi per accaparrarsene i giocatori, ma gli accordi vantaggiosi si possono fare quando si è in una posizione di superiorità, non quando si è alla canna del gas.
Avendo introdotto, tra le altre regole, anche una somma minima per i trasferimenti all’interno della Superliga che dovrebbe aggirarsi sui 500mila euro per giocatore, i conti sono presto fatti: le 4 o 5 squadre più ricche (Magnitogorsk, Avangard, Ak Bars, CSKA, Lokomotiv) finiranno col prendere tutti i giocatori migliori, e le altre squadre scenderanno invece a livelli da serie B in un paio di stagioni.
E poi?
Si farà una “Super”-liga a 5 squadre?
Oppure le altre squadre verranno comprate da gruppi stranieri cui importerà poco o nulla spendere soldi per i vivai?
E poi?
“Game Over” per l’hockey russo…?

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