Intervista a Luigi Bolognini della Repubblica

Intervista a Luigi Bolognini della Repubblica

HT: Alla luce dei risultati finali di questo campionato un suo commento sulla stagione appena conclusa ed una valutazione qualitativa di quanto espresso sul ghiaccio.

LB: Dicono che l’hockey in Italia non attecchirà mai perché è uno sport ben poco italiano. Secondo me invece il nostro hockey ha una caratteristica che lo rende davvero simile all’Italia: è perennemente in fase di transizione. E a un cambiamento vero e definitivo non si arriva mai. Restiamo sempre a momenti interlocutori, insomma. Anche la formula a 15 squadre di quest’anno è stata evidentemente interlocutoria e di transizione. E non una grande formula: alcune partite erano francamente imbarazzanti, tanto era il divario. Anche se quel che si è visto nei play-off è stato davvero rassicurante: niente risultati scontati, lotta, equilibrio, hockey di qualità accettabilissima. Temevo che ci sarebbe stato un livellamento verso il basso, invece mi pare che almeno le squadre di vertice si siano confermate di buona qualità.

HT: Vorremmo un suo giudizio sulle singole squadre che hanno dato vita a questo campionato:

LB: Vado a flash

Milano. Il terzo scudetto di fila non chiude un ciclo ma quasi, per puri motivi anagrafici. L’anno prossimo deve abbassare giù l’età media: la classe rischia di non bastare e lo spirito di spogliatoio, davvero unico, nemmeno. Ripetersi è sempre più difficile che vincere. Anche se questa squadra ha insegnato che è quando si trova in difficoltà che dà il meglio di sé: la rimonta da 0-2 a 5-2 in 13.19 nel secondo tempo della finale scudetto è roba da manuali.

Asiago. Ha fatto il suo. Però nei momenti cruciali ha scoperto di avere un attacco non incisivo come pensava (il ripescaggio di Topatigh è eloquente) e di mancare ancora in mentalità: trovarsi in vantaggio nella serie scudetto e farsi rimontare è imperdonabile, se si vogliono certi traguardi.

Fassa. Tanti infortuni, alla fine il terzo posto è un risultato in linea col valore della squadra. Ivany è valido ma di uomini che fanno miracoli ce n’è stato solo uno un paio di millenni fa, e chiedete a Mel Gibson che fine ha fatto.

Cortina. Carramba, che sorpresa! È davvero bello, pensando a quello che vuol dire questo nome per l’hockey italiano, rivederlo subito ad alti livelli. L’unica squadra capace di dare davvero fastidio a Milano. L’anno prossimo sarà cruciale per capire se è stato un risultato frutto dell’entusiasmo per il ritorno o se il progetto ha sostanza vera. A occhio propenderei per la seconda ipotesi ma voglio conferme sul ghiaccio.

Bolzano. Catastrofe vera, vista la rosa a disposizione. Urge rifondazione, e con l’arrivo di Zarrillo dovrebbe iniziare.

Merano. Maluccio anzichenò, considerato che è stata una delle poche squadre a spendere. Non aveva ambizioni scudetto, ma a una semi ci puntava. Se non avesse beccato i Vipers, probabilmente ce l’avrebbe fatta.

Alleghe. Puntare sugli italiani è cosa buona e giusta. A patto che siano di valore. Qualche straniero in più forse avrebbe dato esperienza.

Renon. La dimostrazione che i soldi conta saperli spendere, più che spenderne tanti. Buon gioco e alcuni elementi interessanti, anche se è scontato dire di Blanchard.

Varese. Altro nome che è bello rivedere. Tutto sommato non è andata male: la salvezza è quel che i Mastini si aspettavano, per quest’anno. Vedremo se vorranno e sapranno puntare a qualcosa di più in futuro.

Brunico. Commuove sempre vedere realtà così integrate nel tessuto locale, da cui trovano la forza per andare avanti a dispetto dei santi.

Torino. Non che mi aspettassi molto, ma pensavo che la collaborazione coi Vipers valesse almeno una salvezza. D’altronde, il flusso di stranieri faceva pensare a quelle porte girevoli dei grand hotel, dove la gente entra ed esce di continuo. Il resto, nell’ultima risposta.

Gherdeina, Egna, Caldaro, Appiano. Queste fatemele accomunare. Tra l’altro il giudizio è unico, ed è una domanda: perché? Alla fin fine si sono fatte del male da sole. In A2 avranno tempo di crescere e tornare in A1 da protagoniste come meritano.

HT: Qual è secondo lei il giocatore che valuta come il migliore della stagione e che ha espresso il miglior hockey?

LB: Uno solo è durissima: ogni tipo di giocatore può essere decisivo, a modo
suo. Fatemene fare uno per ruolo.
Portiere. Dopo lungo ballottaggio, scelgo Muzzatti, perché ha vinto lo scudetto. E intendo che è grazie a lui che Milano l’ha vinto: la differenza tra lui e Gravel (l’altro ballottante) è stata la differenza tra lui e Asiago in finale. Ha fatto i suoi errori, Jason, ma alla fin fine sono stati ininfluenti, mentre le prodezze sono state sempre decisive e in momenti decisivi.
Difensore. D’istinto dico Blanchard del Renon, ed evito di ragionare sui tanti altri che mi potrebbero venire in mente.
Attaccante. A proposito di scelte affollate, dovrei dirne dieci. Per la squadra in cui era, Rickmo. Per la forza e la grinta Beattie. Per il fiuto del gol Tuzzolino. Per i numeri, Felicetti. Per il talento, Chitarroni.

HT: Come giudica l’iniziativa federale di dare vita il prossimo anno ad un
campionato a 10 squadre e cosa si aspetta da essa?

LB: Alèè-òò! Se va in porto stappo una bottiglia di champagne assieme all’amico Ambrogi del Giorno: 10 è un bel numero, forse l’ideale vista la situazione del movimento nostrano. Eviteremmo sia mezze buffonate come il campionato appena finito che un torneo adrenalinico con pochissime squadre che si incontrano di continuo come il precedente. Quanto al resto, da Bolognini mi aspetterei moltissimo visto il cognome che porta (ma non siamo parenti, e lo dico sia per il suo bene che per il mio). Ma con l’esperienza di questi anni andrebbero bene anche solo alcune piccole cose. Già avere una formula di campionato 3-4 mesi prima che il suddetto campionato inizi è qualcosa: dà certezze. E una formula così condivisibile permetterà di certo di alzare il livello tecnico.

HT: Mercato: indipendentemente dai nomi in quale direzione si dovranno muovere le singole società per prepararsi alla prossima stagione?

LB: Massicci investimenti sui vivai e stranieri non presi solo per prendere lo straniero e compiacere il pubblico, un brutto vizio che il calcio ha avuto per anni. L’allargamento dell’Unione Europea è una bella chance, a saperla sfruttare.

HT: Capitolo nazionale; come giudica i risultati appena ottenuti ai mondiali?

LB: Il risultato in sé alla fine è una delusione: la promozione si poteva raggiungere e sarebbe stata pure giusta. Però siamo arrivati a lottarcela fino all’ultimo, e visto quel che passava il convento ultimamente mi sembra già molto buono. Anche perché siamo arrivati a lottarcela grazie a una serie di esordienti di talento, uno per tutti Rigoni, gente che ci può garantire un futuro con qualche soddisfazione, dopo anni di magra. Goulet mi sembra un tipo realista e con le idee chiare. Magari se la nazionale fosse supportata meglio dalla Federazione e dalle società non sarebbe male. Ma un calendario finalmente meno affollato della linea rossa del metrò di Milano nell’ora di punta è un passo avanti anche in questo senso.

HT: Crede che la presenza della squadra torinese nella massima serie nazionale possa essere un incentivo per il nostro movimento in vista delle Olimpiadi?

LB: Spero di no, ma temo di sì. Nel senso che vorrei che l’hockey, come tutti gli sport in programma a Torino 2006, fosse seguito e amato indipendentemente dai risultati dei rappresentanti torinesi e piemontesi. Invece è ancora uno sport troppo legato ad ambiti locali: non che pretenda che riscuota interesse in Sicilia siano interessati, ma che sappia andare un po’ oltre quelli che vengono chiamati bacini di utenza sì. Le Olimpiadi da questo punto di vista sono un’occasione importante, per rivitalizzare la piazza di Torino ma spero anche altre. Quanto al Valpe, grazie anche ai risultati e alla sua gestione, non mi pare abbia avuto l’interesse della piazza, anzi. E non vorrei che dopo il 2006 la squadra venisse lasciata a se stessa, secondo la ben nota regola italica del "passata la festa, gabbato lo santo".

Ringraziamo Luigi Bolognini per la sua disponibilità

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