Covid-19, quando l’hockey è in prima linea: Sasà Sorrenti

Covid-19, quando l’hockey è in prima linea: Sasà Sorrenti

“Fa più male di un colpo di bastone…” una frase che arriva diretta al cuore di chi legge queste parole. A parlarne è Sasà Sorrenti, un ex Mastino, un giocatore con un lungo passato sui pattini e con maschera e bastone, con 120 gol e 471 presenze con la maglia del Varese sia in serie A, B, C, e amatori e altre esperienze a Torino, Brunico, Bressanone e Milano (serie C). Forzatamente appesi i pattini al chiodo nel 2019, Sasà ora si dedica completamente alla sua professione di fisioterapista in una struttura per anziani di Varese.

‘Dopo trentacinque anni passati sul ghiaccio di botte se ne prendono e se ne danno, ma i segni della mascherina sono dolorosi peggio di un colpo di bastone. Ovvio tutto ha un diverso valore, perché tutti i giorni vedo persone che stanno fortunatamente bene, altri che pian piano si spengono. Io, i colleghi e la mia struttura stiamo facendo l’impossibile per aiutare questi anziani che hanno bisogno di un aiuto già solo per toglierli dal letto e farli riprendere le funzioni motorie basilari. E’ dura vederli spegnersi poco a poco: io lavoro in questa struttura da diciassette anni, con 200 posti letto con reparto di riabilitazione e RSA, e ora abbiamo adibito due reparti Covid ed estremamente Covid. Tanti li conosco da sempre: mi hanno visto crescere ed io purtroppo li sto vedendo invecchiare. Faccio un esempio: venerdì scorso ho lasciato una  signora che rideva e scherzava con me, lunedì l’ho ritrovata con l’ossigeno e non mi riconosceva. Queste cose mi intristiscono.

Una ventina di giorni fa ero a casa perché la direzione aveva ritenuto la situazione molto critica: visto l’emergenza, sono stato richiamato a sostituire gli operatori che non potevano prender servizio per vari motivi di salute. Quindi sono quindici giorni che mi ritrovo catapultato in corsia. Il nostro lavoro è molto vario, dal lavaggio degli anziani, alla mobilizzazione fisica, al sostegno per alimentarli. Purtroppo la forza lavoro manca e anche noi fisioterapisti abbiamo dovuto rimboccarci le maniche e aiutare chi ne ha bisogno. Il Covid è un virus maledetto che colpisce soprattutto gli anziani, ma non risparmia neanche i giovani. Ovvio che il fisico di un anziano ha meno possibilità di farcela ed è veramente una situazione straziante. Noi ce la mettiamo tutta, fondamentalmente il nostro dovere è di salvare vite umane.”

Sasà è abituato a vestirsi in modo ‘diverso’ con pattini, protezioni e casco per l’hockey ma per l’accesso ai reparti Covid l’abbigliamento cambia ma è pur sempre molto voluminoso e ingombrante.

“Ho dei colleghi di Milano che seguono l’hockey, e parlando con loro ho confidato che trovo poche differenze tra la divisa da hockey che quella di operatore sanitario. Spiego meglio: al mattino prima di entrare in servizio seguo il protocollo sanitario sterilizzandomi completamente, e mi vesto con la stessa scaramanzia di quando ero negli spogliatoi prima di una partita di hockey. Sembra quasi che ogni giorno debba giocare una partita e cercare di vincere quella più importante in una finale playoff. E’ veramente dura! L’hockey è vita normale, puoi perdere, ci rimani male, ma non piangi; essere in corsia ogni giorno ci sono forti emotività. Devo esser sincero, io qualche lacrima per l’hockey l’ho versata ma vedere questa situazione di questo periodo è veramente drammatico. Noi stiamo dando il massimo con tante ore di lavoro, dove non esistono né festività né fine settimana. Dobbiamo rialzarci tutti assieme. La Lombardia è stata colpita in pieno e nonostante le critiche posso assicurare che abbiamo un’assistenza sanitaria che funziona. Siamo spesso soggetti a ripetuti controlli e tutte le volte si afferma il fatto che stiamo facendo un ottimo lavoro. Con questo virus ‘bastardo’ non ti puoi permettere alcuno sbaglio: ogni volta che tocchi un paziente, ti devi cambiare i guanti e sanificare le parti esposte, meglio esser prudenti perché il contagio è può essere incombente. Io faccio un sacrificio enorme: durante tutto il turno non bevo, non mi tolgo la mascherina con la visiera e non tolgo niente; preferisco disidratarmi un po’ per poi recuperare quando ho finito. Ogni piccolo errore può essere fatale per il contagio, tipo grattarsi un orecchio o il naso, oppure toccarsi gli occhi. Il nostro obiettivo è in primis portare a casa la nostra vista e rispettare quella dei nostri famigliari, non da meno il riguardo dei nostri pazienti che sono oltre ottanta, novanta anni. Ne abbiamo uno di 105 anni. La nostra struttura ospita anziani che sostanzialmente sono stati bene fino allo scoppio della pandemia, qualcuno è stato colpito, qualcuno ci ha lasciato, speriamo che ci lasceranno sempre meno persone: io voglio molto bene ai miei pazienti, sono esseri umani identificabili in papà e mamme che non posso avere i propri cari a coccolarli. Confesso che con alcuni pazienti no Covid spesso prendo il telefono e faccio le videochiamate con i parenti, i quali mi ringraziano con le lacrime agli occhi, poiché  nessuno può entrare in struttura da oltre sessanta giorni proprio per salvaguardare la vita dei nostri ospiti. E’ straziante vedere quello che vivono fuori i parenti ma è altrettanto straziante vedere quello che soffrono i nostri nonnini. Nessuno si aspettava una pandemia del genere: sembra di assistere a un film di fantascienza, purtroppo è la nuda e cruda realtà! E’ difficile non poter abbracciare una persona quando l’hai sempre fatto. E’ un sacrificio per tutti e speriamo tutti assieme di uscirne presto.

Io spero vivamente che vada tutto bene per me e per tutti gli operatori sanitari impegnati in questa lotta contro questo maledetto virus per poi ritrovarci in futuro a tifare le nostre squadre sugli spalti del palaghiaccio. Il mio lavoro è fare il fisioterapista, la mia passione è sempre stata indossare i pattini e giocare a hockey. Ora sono impegnato nel mio lavoro e sono  consapevole che lo sto facendo non solo per la comunità ma soprattutto anche per questi anziani. Ho sentito delle brutte cose del tipo che in terapia intensiva i giovani avevano la precedenza per avere un respiratore piuttosto che darlo ad un anziano. Non è così e non può essere così, come si fa abbandonare i nonni in questo modo? Per chi ha fatto sport ‘abbandonare’ una persona in questo momento è scorretto, anche se quella persona è un tuo avversario sportivamente parlando.

Quando finisco il turno, ci metto mezz’ora a disinfettarmi, poi una volta a casa doccia calda e sanificazione dei vestiti indossati giornalmente  soprattutto per rispetto alla mia famiglia: a mia moglie Daniela e ai miei figli Leonardo e Chiara. Non potendoci incontrare anche mia madre, mio fratello e mia sorella ogni giorno si assicurano della mia salute. Non dobbiamo mollare perché fermarci ora sarebbe una grande sconfitta. Io sono sempre stato un giocatore che sul ghiaccio ha sempre avuto grinta ma quando c’era da ridere e scherzare sono sempre stato il primo a volerlo fare, queste emotività mi  segneranno per sempre: in questi momenti riscopri dei valori che hai messo da parte.

Una persona mi ha detto: ‘Ma chi te lo fa fare?’ Bene, ribadisco che non me lo fa fare nessuno ma lo faccio per dovere per i miei pazienti. Alcuni di loro sono passati dal dramma delle guerre, dei bombardamenti, ma come si fa ad abbandonarli? Certo avrei potuto starmene a casa in ferie ma non me la sono sentita di lasciarli soli nel rispetto di queste persone che hanno creato l’Italia e credo nel massimo rispetto verso il nostro tricolore.

La solidarietà di ex avversari e compagni di squadra non ha confini. 

Spesso mi sento con amici dell’hockey dal Trentino, dall’Alto Adige, e anche oltreoceano che mi incoraggiano per quello che sto facendo ed è una grande dimostrazione di affetto in questo brutto periodo. Questo mi ha fatto anche capire che nell’hockey abbiamo tante amicizie ma in questo momento non ci sono squadre né bandiere, siamo tutti uguali. Tante manifestazioni di affetto da giocatori che quando ero in attività al massimo ti salutavano e basta. Ora tutto è cambiato, ho ricevuto messaggi da tutta Italia per esempio da Merano con Ingemar Gruber, e dal Canada mi ha scritto Carter Trevisani per chiedermi come stavo e come era la situazione. Purtroppo la situazione è critica in tutto il mondo. E’ sempre un piacere ricevere queste dimostrazioni di solidarietà soprattutto nel mondo dell’hockey.

Nel prossimo futuro dovremo rispettare le regole per evitare il contagio e forse da questa brutta esperienza potremmo migliorare in tutto e per tutto. Quando ti viene a mancare un genitore e non poter essergli vicino per l’ultimo saluto, per un figlio è una cosa atroce. E’ un periodo di dolore e forte commozione: quando sento stringere la mascherina penso a tutte le bastonate che ho preso giocando a hockey, hai quella sensazione che il dolore avvertito serve per aiutare qualcuno che è in difficoltà, stringo i denti e vado avanti. Poi alla fine del turno dopo 7/8 ore, sono stremato, in quelle ore di lavoro devi rimanere concentrato a non fare errori. Devo confessare che la scuola dell’hockey mi ha insegnato disciplina e concentrazione. Inoltre devo ribadire che tutti gli italiani stando a casa e rispettando le regole sicuramente aiutano anche noi personale sanitario che siamo in prima linea. Speriamo finisca presto anche se i tempi di ripresa non saranno imminenti. Pensiamo positivo.”

 

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