E alla fine venne il giorno che Ottawa tanto temeva

E alla fine venne il giorno che Ottawa tanto temeva

Il momento dell’addio di Alfredsson ad un’intera città è giunto la mattina del 5 luglio 2013. Solo che non è stato brutto e doloroso come i tifosi dei Sens se lo immaginavano. E’ stato molto peggio. La città si è svegliata e ha scoperto che il ritornello ripetuto per un intera stagione e stampato anche su numerose magliette, “One more year”, era sbagliato. Avrebbe dovuto essere “One more HERE”, perché alla fine Alfie ha effettivamente deciso di giocare un altro anno ancora, sì, ma a Detroit, dove a quanto pare ritiene di avere più possibilità di vincere finalmente la Stanley Cup, il sogno di una vita. E Ottawa è andata nel pallone. O nel puck, se preferite.

Si è sentita tradita da un uomo che a Ottawa, a dispetto dell’essere stato la 133esima chiamata al draft del ’94, per quasi un ventennio è stato sinonimo di Hockey con l’acca maiuscola sulle rive del fiume Rideau. Una divinità svedese a cui tutto veniva perdonato, e questo non è certo facile in una città estremamente politically correct e piuttosto suscettibile, per non dire permalosa, come la capitale canadese. Chiedere a Yashin e Heatley per conferme.

Anche i capricci del 1997, quando Alfie non giocò le prime cinque partite della stagione perché in attesa di un sostanzioso rinnovo del contratto, andarono presto nel dimenticatoio, forse perché il rapporto instaurato con la città dal neo-capitano svedese era completo; Ottawa gli dava tutto e lui dava in cambio tutto se stesso ai tifosi, ma anche appunto a Ottawa.

L’unico giocatore che aveva un canto personalizzato da parte del pubblico di casa (almeno fino ai playoff di quest’anno, quando alla lista si è aggiunto il rookie Pageau dopo una mirabolante tripletta contro Montreal), e che nelle partite in casa, a 11 minuti e 11 secondi dalla fine di ogni periodo di gioco, sentiva partire il coro col proprio nomignolo.

L’uomo che si vide dedicare ufficialmente, dal sindaco di Ottawa in persona, il Daniel Alfredsson Day quando giocò la sua millesima partita in NHL con la maglia dei Senators.

Il capitano di lungo corso, collezionista di riconoscimenti e presenze all’All Star Game, che ha a sua volta cresciuto sotto le proprie ali il penultimo vincitore del Norris Trophy, Erik Karlsson, ospitandolo durante la sua prima stagione nella gelida Ottawa.

Quell’uomo ora va a giocare a Detroit. E già pochi minuti dopo l’annuncio giravano in rete fotomontaggi di Alfie con la divisa dei Red Wings, un’immagine che, agli occhi di un tifoso dei Senators, appare molto più strana di una Selen interamente vestita o di un Don Cherry con una giacca in una tinta unita che non sia il fuxia.

In ultimo, ironia della sorte, proprio a causa del nuovo format della NHL, l’anno prossimo Senators e Red Wings, finalmente nella stessa Division, si affronteranno cinque o sei volte durante la regular season. Come ha fatto chiaramente capire Bryan Murray durante la conferenza stampa organizzata per la partenza di Alfie e l’arrivo di Bobby Ryan, McLean e i suoi ragazzi useranno quegli scontri diretti per tentare di dimostrare ad Alfredsson che la sua è stata una scelta sbagliata.

Di certo c’è che, se due anni fa, per il ritorno di Mike Fisher a Ottawa con la maglia dei Predators, ci fu una standing ovation commovente, per il ritorno di Alfredsson con la maglia rossa di Detroit ci si aspetta di vedere gente versare secchi di lacrime. E’ il minimo, in una città dove l’hockey è tutto.

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