Martin Pavlu: la chiusura dei Vipers

Martin Pavlu: la chiusura dei Vipers

HockeyTime: E’ piovuta come una meteora la notizia che la società meneghina cessa l’attività della squadra maggiore qual’è la tua valutazione in merito?

Martin Pavlu: Grande dispiacere, anche se era da un po’ di tempo che si nutrivano dei dubbi sulla partecipazione del Milano al prossimo campionato. Credo che il danno si farà sempre più grosso più passa il tempo. Il Milano da anni era un punto di riferimento. Adesso le società di A1 devono chiedersi cosa vogliono fare nei prossimi anni e non pensare solo alla prossima stagione. Non è un buon segnale per tutto il movimento, se poi ci aggiungiamo che anche la nostra nazionale è retrocessa risulta che non è proprio un bel momento per l’hockey italiano.

HT: Se il Milano era un punto di riferimento pensi che la crisi sia localizzata nell’area lombarda oppure questa situazione è destinata a replicarsi in altre società in tempi brevi?

MP: Non credo che colpirà altre società, ma credo che tutti si devono chiedere dove andare e come programmare il futuro del nostro hockey. Probabilmente bisognerà a pensare di ridurre i costi ulteriormente e investire nel pubblico, che nonostante i 7000 dell’ultima partita a Bolzano, durante l’anno non segue moltissimo le partite di campionato.

HT: Ma come è possibile ridurre i costi ed investire nel pubblico, non è una contraddizione in termini? Non pensi che per attirare più persone al palazzo bisogna investire in giocatori che possano essere d’immagine per il nostro sport?

MP: Si sembra una contraddizione, ma abbassando il numero di giocatori stranieri e prendendoli più bravi sarebbe già un passo importante invece di averne tanti ma di qualità “normale”. La gente vuole vedere giocatori bravi come una volta. Mettiamo di prendere solo 4 stranieri si risparmia voli, alloggio più il contratto di 3 stranieri. Mi sembra che di soldi ne avanzerebbero tanti da investire. Se ci ricordiamo bene anche l’anno dei così detti NHL che sono arrivati in Italia le casse delle società non si sono riempite di soldoni.
Alla fine credo che sia meglio averne pochi ma buoni invece di tanti “normali” anche se poi ci sono quelli che dicono che non ci sono giocatori italiani abbastanza per colmare il vuoto, forse a quel punto sarebbe opportuno fare giocare i nostri ragazzi, o no!

HT: Ho notato che molto spesso si citano le Istituzioni le quali sono assenti ed insensibili nei confronti dell’hockey e più in generale rispetto agli sport minori ma secondo te oggi cosa possono fare in questo momento?

MP: Certo non è facile per il nostro sport, le spese di gestione per i comuni sono molto alte. Lo stadio del ghiaccio è un costo enorme per le casse comunali e se poi ci mettiamo che molte ore vengono date ad un prezzo forfetario alle varie società vediamo che il tutto non è assolutamente facile. Certo sarebbe molto bello allargare il nostro sport a tutta l’Italia ma bisognerebbe costruirei stadi in città medio grandi e questo per varie ragioni. In Germania per esempio si gioca in tutto il paese da nord a sud da noi invece siamo presenti in poche regioni, società storiche tedesche come il Fussen e altre non giocano più in seria A (DEL) ma in campionati minori e la DEL si gioca in città con un grande bacino d’utenza.
Se poi ci mettiamo che molti dei nostri stadi sono un po’ vecchiotti o comunque non riscaldati senza molti sevizi e ancora più difficile portare la gente allo stadio.

HT: Tornando sul discorso Milano pensi che si poteva magari pensare più a un ridimensionamento, magari partecipare alla serie A2, piuttosto che chiudere l’attività?

MP: Non credo che una serie inferiore avrebbe funzionato, certo meglio che chiudere, ma non sarebbe stata una soluzione ideale per Milano. Spero che questa slavina causata da Milano non diventi sempre più grande visto che anche il Torino sta faticando a iscrivere una squadra.

HT: Pensi che ci possano essere altre situazioni di crisi di cui non siamo a conoscenza?

MP: No, a parte quelle già descritte, che io sappia. Credo comunque che è doveroso fare l’ennesima riflessione. La domanda è sempre la stessa: dove vogliamo andare, cosa bisogna fare per arrivarci. Le azioni che si intraprenderanno condizioneranno il futuro del nostro hockey.

HT: A me pare però che nel panorama lombardo sia una costante quella del “mecenate a scadenza” non trovi? Milano, Varese prima e tutte le chiusure a cui tu hai assistito.

MP: Sì, purtroppo è stato così. Credo che sono i bilanci che non quadrano e prima o poi uno si stufa perché non vede la luce in fondo al tunnel e non si diverte più.
Al giorno d’oggi abbiamo un movimento che non riesce a decollare, abbiamo avuto molte opportunità ma la base non è molto solida, ci sono poche realtà nelle grandi città, giochiamo solo in alcune regioni e il 70% dei giocatori sono in Alto Adige che ha un bacino d’utenza di circa 450.000 persone (come un rione di Milano o Roma). Non si gioca a Verona, Padova, Vicenza, Bologna e altre realtà al più a sud. E’ difficile prospettare un futuro per i nostri giovani.
Che cosa gli può offrire l’hockey?

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