Intervista a Michele Bolognini

Intervista a Michele Bolognini

Michele Bolognini, una delle firme più autorevoli nell’ambiente bolzanino e non solo traccia una sintesi della stagione appena conclusa.

HockeyTime: Secondo te quali sono state le cause della brutta partenza del Bolzano e quali quella della “rinascita”?

Michele Bolognini: già a settembre, in Alto Adige, si parlava della finale da sogno Bolzano-Renon, che avrebbe potuto risvegliare la passione per l’hockey nel capoluogo. Certo che a gennaio, dopo l’1-8 casalingo contro l’Alleghe, con una squadra moralmente al tappeto, un coach in preda ad una crisi di nervi e il pubblico del Palaonda in aperta contestazione, non avrei scommesso sul Bolzano campione d’Italia.
Il forfait di Koalska per i noti problemi fisici ad inizio stagione ha sicuramente creato notevoli scompensi. Per mesi la squadra è andata avanti senza un centro straniero “da prima linea”, e i problemi in fase realizzativa si sono visti tutti. L’unico giocatore in grado di accendere la luce, in quel periodo, era Mihaly. Buon per lui che a fine dicembre siano arrivati Corupe e Jardine… Inutile, inoltre, negare che Doug McKay sia stato uno dei grossi problemi del Bolzano di inizio stagione: ha fatto un gran lavoro nel creare la squadra sul mercato e nel prepararla fisicamente, ma la sua idea di hockey è terribilmente antiquata, “giurassica”, come l’ha chiamata un coach di cui ovviamente non svelo l’identità. Il vero problema di McKay è stato comunque l’aspetto umano: la squadra giocava con una pressione terribile addosso, la paura di sbagliare ogni tipo di giocata era folle, senza contare che alcuni elementi-chiave come Groeneveld erano totalmente sfiniti dal punto di vista psicologico. Con il suo esonero la squadra ha ripreso il gusto di divertirsi giocando a hockey, si è come liberata di un peso: il talento c’è sempre stato, aveva solo bisogno di uno scossone per tornare a galla. Fondamentale, a mio modo di vedere, per la cavalcata tricolore, è stato lo spogliatoio: dopo tanti anni non c’erano più le divisioni tra gruppi, uno contro l’altro, ma una vera e propria famiglia, in cui ognuno era pronto a sacrificarsi per il compagno. Nei playoff una discreta mano dal punto di vista tattico l’ha data il finlandese Jari Helle, che ha stupito tutti per la capacità di leggere le partite e preparare le contromosse in grado di mettere in difficoltà gli avversari. A marzo il Bolzano ha trovato la chimica giusta dal punto di vista tecnico, tattico e mentale per vincere il campionato. Nella serie contro il Renon la differenza l’ha fatta la testa, la capacità e l’esperienza di tutto l’ambiente nel gestire le situazioni calde.

HT: Proprio la questione “spogliatoio” mi incuriosisce. Visto da fuori il Bolzano di questi anni è sempre stata una squadra forte ma con seri problemi all’interno del team, secondo te cosa ha fatto cambiare questa mentalità?

MB: Il fatto di avere in squadra stranieri con una mentalità “positiva”, e non solo alla ricerca dei punti da mettere a referto per il contratto dell’anno successivo, è stato di grande aiuto. In Italia, e in maniera particolare a Bolzano, c’è sempre stata la tendenza a prendere lo straniero a scatola chiusa, basandosi solo sui report statistici che tutti quanti possiamo trovare su internet. Invece, la cosa che conta forse più di tutte, è riuscire ad avere informazioni attendibili circa l’attitudine mentale di un giocatore, la disponibilità al sacrificio. Credo inoltre che sia stato fondamentale l’ingresso in squadra del gruppo “meranese” formato da Borgatello e dai fratelli Ansoldi, che ha portato una ventata di aria fresca e positiva in uno spogliatoio minato dalle troppe delusioni degli ultimi anni

HT: Allora di chi è stato il merito di visionare questi giocatori stranieri?

MB: Doug McKay ha sicuramente avuto un ruolo importante. Credo che debba seriamente pensare di cambiare mestiere: da coach a manager.

HT: Quanto vale adesso questo scudetto per il Bolzano Hockey e per la città?

MB: Vale tantissimo, rappresenta la rinascita di un’amore che era rimasto sottotraccia per tanti anni. Tutti, improvvisamente, si sono ricordati che l’hockey su ghiaccio è e rimane lo sport numero uno della città, nonostante le delusioni e le amarezze degli ultimi anni. Il derby con il Renon in finale ha indubbiamente aiutato, soprattutto dal punto di vista dei media: basti pensare che negli ultimi 10 giorni il quotidiano per cui lavoro (“Alto Adige”) ha dedicato in media 2 pagine per ogni edizione alla finale-scudetto, e addirittura 4 pagine il giorno della conquista del 17esimo tricolore. La gente ha ripreso a parlare di hockey al bar, in ufficio, sugli autobus. E ora sarebbe bene riuscire a sfruttare da subito l’onda lunga dell’entusiasmo dando continuità alla squadra e al gruppo. Nelle ultime 7 stagioni dal Palaonda sono passati oltre 60 stranieri, e solo un paio sono rimasti per più di una stagione: il pubblico ha bisogno di identificarsi con la squadra, di avere dei punti di riferimento in cui riconoscersi. Credo che l’eventuale conferma di due elementi molto amati dai tifosi biancorossi come Corupe e Mihaly rappresenti già una buona base di partenza per il futuro.

HT: E alla luce del risultato finale qual’è il valore del pacchetto di giocatori italiani in forza alle volpi?

MB: Con gli innesti di Borgatello e Luca Ansoldi è probabilmente diventato il migliore della serie A. Christian in particolare ha disputato una stagione ad altissimo livello, diventando assolutamente stratosferico nei playoff. Questi due giocatori valgono come due stranieri, inutile negarlo. Non bisogna inoltre dimenticare Pittis (che io considero italiano), motorino inesauribile, Walcher, che ha giocato il miglior campionato della sua carriera, Zisser e Florian Ramoser, in crescita rispetto agli ultimi anni e sempre molto utili, oltre ovviamente a Faggioni, nonostante una stagione caratterizzata da problemi fisici. Fossi un dirigente dei Foxes farei carte false per riportare a casa due bolzanini come Egger e Dorigatti. Con uno zoccolo duro di giocatori italiani del genere, puoi anche permetterti di prendere 1-2 stranieri di livello non eccelso, come capitato quest’anno con Hajt e Abel, e pensare di vincere il campionato.

HT: Qual’è secondo te invece il giocatore – o i giocatori – che hanno deluso le aspettative

MB: Per quanto riguarda il Bolzano, sicuramente Chris Hajt. Da un terzino con il suo curriculum, draftato al secondo giro in Nhl, tanti buoni anni di Ahl alle spalle, reduce dalla Del e dalla serie A finlandese mi aspettavo molto di più. Invece si è dimostrato molto lento, regolarmente in affanno quando lo attaccavano a campo aperto (soprattutto con Smith e Mather ha sofferto le pene dell’inferno) e assolutamente insufficiente in fase di impostazione. Anche Groeneveld ha reso al di sotto delle aspettative sino ai playoff, ma le sue parate in gara 3 e gara 4 di finale con il Renon sono valse una bella fetta di scudetto.

HT: Tu hai visto in azione anche le altre compagini della serie A, vorrei da te un giudizio complessivo sulle formazioni che si sono affrontate in questo campionato

Direi che tutto sommato è stato un bel campionato. Soprattutto molto equilibrato. Le squadre che in assoluto mi sono piaciute di più sono state il Renon e il Fassa, che hanno messo in pratica un hockey veloce e divertente, cercando sempre di giocare per vincere e mai per “non perdere”: la serie di semifinale tra queste due formazioni è stata bellissima. Milano ha fatto vedere ottime cose per tutto l’anno, grazie ad alcuni giocatori in grado di fare la differenza e ad un gruppo di giovani che è andato al di là di ogni previsione. Pontebba mi ha sorpreso nel finale di stagione, perché le poche volte che l’avevo visto all’opera in regular season mi aveva sempre dato l’idea di una squadra poco strutturata dal punto di vista del gioco. Alleghe è stata una grandissima delusione perché aveva tutto per vincere il campionato: c’è però da dire che molti bolzanini a fine campionato hanno ammesso che la serie contro gli agordini è stata la più difficile di tutti i playoff. Cortina non ha praticamente mai iniziato il campionato, vittima di un gruppo poco coeso e con troppi problemi interni. La nota più positiva del Val Pusteria è stata il pubblico, con una media di oltre 1.500 persone a partita: per il resto si è dimostrata ancora una volta squadra allergica ai playoff. L’Asiago ha vissuto una stagione segnata dalla tragica scomparsa di Darcy Robinson, i cui effetti si sono fatti sentire dal punto di vista sia umano che tecnico: al di là dell’ottimo Plastino e di qualche lampo di Surma si è visto ben poco.

HT: Per chiudere il discorso serie A vorrei avere da te un nome per reparto (portiere, difensore e attaccante) quale migliore in assoluto della stagione

MB: Il miglior portiere indubbiamente Cloutier: ai playoff ha avuto qualche momento di black-out, ma la colpa è anche di una squadra che lo ha aiutato gran poco nel momento chiave della stagione. Se il Renon è arrivato in finale, comunque, gran parte del merito è sua: in gara 1 e gara 5 di semifinale con il Fassa ha salvato di tutto e di più. Fra i terzini mi è piaciuto moltissimo Bourassa del Fassa: duro al punto giusto, gran sassata dalla linea blu, ha bisogno di un terzino molto difensivo al suo fianco per coprirlo. Ritengo che il migliore sia però ancora Christian Borgatello e dunque vado con una scelta autarchica. Per quanto riguarda l’attacco è una bella lotta tra Mihaly, Stephenson (troppo discontinui entrambi), Corupe (uomo-scudetto) e Smith. Se guardo a quello che è stato fatto durante tutto l’arco della stagione dico Mark Smith: letteralmente imprendibile.

HT: E’ finito il campionato e adesso tocca alla nazionale impegnata in Canada nei mondiali che contano. Quali sono le aspettative per il nostro team?

MB: Ovviamente tutti speriamo nella salvezza. Sarebbe l’ennesimo miracolo del Blue Team. Non sarà facile, ma se guardiamo gli avversari l’impresa appare addirittura meno ardua rispetto agli ultimi due mondiali. La nostra finale sarà il match contro la Danimarca nel girone eliminatorio, nazionale che ci è superiore dal punto di vista fisico, ma che ha avuto un pre-mondiale decisamente sottotono: partiamo con il 50% di possibilità di farcela. Se andasse male c’è sempre il play-out con la Francia, questa volta al meglio delle tre partite, avversario tutto sommato alla portata. Mi auguro che gli azzurri sappiano trovare le motivazioni per un altro grande risultato puntando come al solito sul collettivo e sul gruppo. Tutti, a livello internazionale, ci considerano degli estranei nel gruppo A: sarebbe fantastico poterli smentire ancora una volta. E poi sarebbe un bel regalo anche per coach Goulet, che sta vivendo un momento molto difficile a livello personale.

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