Questo è l’hockey!

Questo è l’hockey!

E’ finito. Sia per i vincitori che per i vinti; questo 70imo campionato ha ormai chiuso i battenti.
Nell’aria però rimane e rimarrà lo spirito che questo stupendo sport riesce a far scaturire da dentro ognuno di noi indipendentemente dai propri colori.
E’ l’amore per questo hockey ed il messaggio qui sotto riportato ne è una cristallina testimonianza.

Grazie a “Reno” per avere concesso l’autorizzazione alla pubblicazione.

Fermatevi un attimo. Lo sentite anche voi? Si, è un tamburo. Sono mani sulla balaustra. Sono nella nostra testa, e ci rimarranno a lungo. Bene, ci faranno d’accompagnamento.

Ieri non era un giorno qualsiasi, era chiaro sin dalla mattina, quando appena sveglio sono uscito sul terrazzo di casa a prendere la prima boccata d’aria. Una cosa che non facevo da tempo, l’inizio di una giornata che, ragazzi miei, non dimenticherò mai.
A palazzo quattro ore prima della sirena. Chilometri e chilometri attorno al ghiaccio ad attendere. E poi, quasi senza che te ne possa rendere conto, si comincia. E ancora una volta si comincia male. Due colpi al cuore, colpi mortali. Un altro primo periodo da dimenticare. Dove siete? Ragazzi, organizziamo le macchine per sabato. Tutti ad Asiago. Oggi va così. Sono in curva attaccato alla transenna. Canto come un pazzo, cerco di incitare la gente. Attorno a me oltre al mio Gruppo Guinness gente stipata all’inverosimile. Cerco conforto negli sguardi della gente che ho davanti. Gente sconosciuta, mai vista, a tratti disinteressata, cosa a diavolo gliene importa? Cosa ci fate qui? Noi abbiamo un cuore, voi siete turisti. Due ragazze sconosciute mi guardano ridendo e mi chiedono come io posso avere ancora tutta quella carica. La risposta non serve. A due minuti e poco più dalla sirena la curva esplode. Leo ancora una volta a segno. Bacio le ragazze, le amo. Siamo tornati. E il cuore ricomincia a battere in modo pazzesco. Avrò una ventina di persone accalcate sulle spalle, nel nostro settore non ci stiamo più. Ma non importa, va bene così. L’importante è crederci. Cowie. La curva si piega, ora sembra implodere. Tutto il palazzo è nel delirio. Le balaustre stanno cedendo. Vi abbiamo preso, siamo in scia. Da qui in poi, la storia. Smith. Io sto piangendo, non ci credo, il mio cuore non può reggere. Chi se ne frega degli sguardi ebeti di chi pensa, e a ragione, che io sia completamente fuori di testa? Ma non basta. Mi volete uccidere. Beattie e Busillo devono mettere la loro sigla. Che partita sarebbe altrimenti? Ci avessero detto che era tutto un pesce d’aprile, forse, sarebbe stato meno surreale. Il terzo tempo è un inferno. Devo scappare della curva. Vado al quadrello. Ed è quasi peggio. Ma si sente qualcosa di strano. C’è aria rossoblu. Sento battere i cuori. Bene. Ora dobbiamo chiudere. I minuti non passano mai. Sulla punta della lingua “Siamo noi i campioni dell’Italia siamo noi” che nessuno ha il coraggio di intonare. La gola comincia a bruciare, le lacrime sono agli angoli degli occhi. Ci schiacciamo contro il plexy quasi a volerlo trapassare. Siamo una catena umana, un intreccio di cuori, un amore per la maglia. Attorno a noi continue ole per tutto il palazzo. Ragazzi è fatta. Due minuti. Qualcuno scappa dalle tribune. Cosa vi state per perdere. “Siamo noi i campioni dell’Italia siamo noi” ora è un unico boato, le mani si distruggono, gli ultimi dieci secondi li passiamo tutti abbracciati urlando attaccati da sensazioni che raramente ti rendi conto di poter provare.
Tutti sul ghiaccio, dove ci aspetta il regalo più bello. Qualcosa che niente può comprare. I giocatori ci urlano “lo scudetto è vostro”. Sarazin mi prende in braccio e mi fa fare un giro di pista preceduto da telecamere e fotografi. E continua ad urlare “E’ per voi! Grazie”. Non potrò mai provare un’emozione simile. E poi ancora con il Presidente e Sarazin sotto la curva con la coppa. Questo era nei miei sogni, non è realtà. Non può essere. Lo è. Un bacio alla coppa. Canti per il presidente a non finire. Abbracci e ringraziamenti con tutti i giocatori. Così, a lungo sul ghiaccio, finchè ci cacciano. E poi birra. Ma poi si ritorna a palazzo dove la festa continua. Dobbiamo aspettare i campioni. I vostri fedelissimi sono rimasti, io sono con loro, non importa quando uscirete. Noi saremo qui. Eccoli. Un tripudio per ognuno di loro. E anche se sono le tre di mattina è impossibile resistere quando qualcuno intona il grande inno. “Siamo noi i campioni dell’Italia siamo noi” .
Grazie ragazzi, ci avete fatto vivere un sogno. E poi, l’avete realizzato e ce lo avete donato. Queste finali sono state magiche, maledette e magnifiche. Occuperanno per sempre un posto nella nostra mente. Il ricordo di una grinta mai doma, di una passione eroica, di un coraggio da leoni ma soprattutto di un onore e di uno scudetto che dobbiamo essere orgogliosi aver appuntato sulle maglie. La forza dei campioni, la potenza della determinazione, la capacità di credere nei propri valori e il desiderio impietoso di arrivare ai propri fini sono valori che vi auguro di portare sempre anche fuori dal ghiaccio. Grazie. Per un sogno così vale la pena vivere.
E un sincero abbraccio anche a tutti voi. Ci unisce una fede diversa da qualsiasi altra. Noi siamo quelli delle tre partite a settimana, magari con due trasferte. Millecinquecento chilometri in sei giorni per due partite. Dove sta il problema. Noi, come è stato scritto in questi giorni, siamo quelli con i cuori perfetti, le coronarie da atleta, i parametri da astronauta. Quelli che non mollano mai. Noi siamo quelli che cavolo ce ne frega se ci sono meno quindici gradi e una bufera di neve. Gioca la Saima. A Cortina, ad Appiano. Una partita inutile? Non esistono partite inutili. Noi siamo il popolo rossoblu. Siamo unici. Chi ci vede da fuori ci da dei pazzi. Qualcuno mi ha detto “Che palle, tre partite a settimana??? Molto meglio il calcio, almeno si gioca una volta, al massimo due”. Cosa rispondergli? Secondo voi ha mai provato emozioni come le nostre? Impossibile. E allora lo porterò a palazzo ad una partita. E se tutto va come credo dopo in primi minuti di stridere di pattini, di puck e di balaustre, avremo un altro innamorato di questo magnifico sport che per le prime volte, per lui sarà fantascienza. Poi prenderà forma. Diventerà una necessità. L’assenza prolungata dal ghiaccio farà stare male anche lui come noi. Avrà una gran fortuna. Ma soprattutto avrà la fortuna e l’onore di conoscere delle persone grandi e uniche come voi che sono orgoglioso di permettermi di chiamare Amici. Grazie ragazzi, è stata una stagione indimenticabile soprattutto grazie alla vostra compagnia.

Ricominciamo a respirare lentamente. Proviamoci. I tamburi ci sono ancora. Le mani mi fanno male. Ho anche un unghia distrutta. Qualcosa nella testa non funziona a dovere. Vorrei gridare a tutti la mia gioia, ma forse non è il caso. Me ne starò qui, buono, in un angolino senza disturbare. Tanto ho i tamburi che mi fanno compagnia.

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