Senators: una stagione normale, anzi no…

Senators: una stagione normale, anzi no…

Di Max Magi

Quella degli Ottawa Senators non è stata, in generale una stagione eccezionale. Il 2014-15 dei Sens è stato infatti normale, con una squadra che ha semplicemente raggiunto i playoff, ovvero l’obiettivo minimo che la dirigenza si era prefissata dopo un 2013-14 davvero fallimentare. In generale, dicevo.

Nel dettaglio, beh, il discorso cambia completamente, e scopriamo un’annata come non se n’erano mai viste, con una rimonta senza precedenti nella NHL.

Lo scorso febbraio, a due mesi dalla fine della stagione regolare, i Sens sono terzultimi nella Eastern Conference a 14 punti dalla soglia dei playoff, l’allenatore Paul McLean è stato rimpiazzato ad interim dal suo assistente Dave Cameron, i tifosi hanno assistito a quattro mesi di prestazioni spesso imbarazzanti, con una difesa che ha la stessa tenuta stagna di una rete per pollai e con un attacco più sterile del deserto del Gobi. A completare l’opera, si infortunano quasi contemporaneamente i due portieri, Anderson e Lehner, e l’attaccante McArthur. Per naturale conseguenza, Bryan Murray, al suo ultimo anno come GM per via del tumore in fase quasi terminale che lo sta divorando, richiama da Binghamton Andrew Hammond, onesto portiere di AHL, passato alla storia un paio di mesi prima per aver concesso tre reti nei primi 21 secondi di gioco contro i Lehigh Valley Phantoms.

Insomma, roba da far alzare bandiera bianca anche al più facinoroso degli ottimisti. E invece…

Prima partita da titolare per Hammond in NHL: 5-2 contro Montréal, e insomma, almeno questa soddisfazione ce la siamo tolta. Seconda partita: 4-1 contro Florida. Accipicchia! Peccato che proprio adesso inizi la trasferta californiana, dove non vinciamo mai e poi mai, nemmeno facendo riti voodoo con bamboline che abbiano i volti di Getzlaf, Perry, Doughty, Marleau e così via.

E invece è lì, fra Anaheim e Los Angeles, che nasce la leggenda di Andrew The Hamburglar Hammond.

Piccola parentesi di costume. The Hamburglar era un celebre (in America) testimonial-cartoon della McDonald, per la precisione un ragazzino mascherato che andava in giro borbottando “robble robble” e mangiando ovviamente hamburger. Ai tempi del college, Hammond veniva chiamato Hamburglar dal proprio compagno di stanza, e tale soprannome gli è rimasto addosso per poi esplodere a Ottawa.

Anaheim, dicevamo. 3-0, ovvero primo shutout in carriera in NHL per Hammond con prestazione assurda che ricorda i personaggi della Marvel o della DC Comics. E la sera successiva, 1-0 in casa dei Kings con una performance di Hammond addirittura migliore della precedente (più un aiutino da parte degli arbitri che, col punteggio ancora fermo sullo 0-0,  fischiano un attimo prima che il disco entri nella gabbia dei Sens, pensando che Hammond lo avesse invece bloccato sotto il proprio corpo).

E’ una scossa sismica non da ridere che dà la sveglia a Ottawa, e due sere più tardi i tifosi si radunano davanti agli schermi per la partita a San Jose, e per capire se sia fortuna, vera, gloria o un miscuglio di entrambe. Niente shutout, ma un 4-2 che non ammette discussioni. Sì, perché adesso non c’è più solo Hammond. Tutta la squadra sembra di colpo essersi svegliata, la difesa gira a mille e si butta su ogni puck che vaga davanti alla propria porta, e in attacco i due rookie, Mike Hoffman e Mark Stone, hanno trovato un’intesa devastante con i vari Turris, Ryan e Zibanejad. A questo aggiungiamo poi Jean Gabriel Pageau che, dopo essere stato richiamato da Binghamton assieme a Hammond, è andato a formare con Eric Condra e Curtis Lazar una delle più belle terze linee (e dei più fastidiosi PK) di tutta la NHL.

Hammond e la squadra conquistano record su record, agli incontri casalinghi i tifosi di Ottawa iniziano a indossare la mascherina da Hamburglar e a gettare hamburger sul ghiaccio a fine partita, e, pur trovando ogni tanto la serata storta (vedi l’1-3 contro Boston o l’1-5 contro New York con un Hammond che gioca infortunato dopo un’entrata omicida di Logan Couture due sere prima), i Sens vincono un numero incredibile di partite (21-3-3 il bilancio a partire dall’arrivo di Hammond) soprattutto sul filo di lana, creando infiniti scompensi cardiaci fra la tifoseria. Il top viene raggiunto con l’ultimo match casalingo, la partita chiave contro Pittsburgh prima della doppia (vittoriosa) trasferta con Rangers e Flyers. Sotto di tre reti a metà del primo periodo (Crosby apre le marcature dopo dieci secondi!), i Senators accorciano con una fortunosissima deviazione di Pouliot nella propria rete, e nel terzo periodo prima Stone e poi Hoffman (con Hammond richiamato in panca) pareggiano. Infine, in OT, Stone darà ai Senators la vittoria più bella, sofferta ed entusiasmante di questa folle stagione.

Playoff, dunque. E qui, si sa, è sempre un altro pianeta. Nonostante il rientro di Anderson dall’infortunio, Cameron è per forza di cose costretto a puntare ancora su Hammond, ma l’esperimento stavolta fallisce. Le due sconfitte a Montréal portano al ritorno in pista di Anderson, che riuscirà a trascinare la serie fino a gara 6, subendo in media una sola rete a partita. Alla fine, però, Price è troppo anche per lui.

In definitiva, la serie contro Montréal sembra un bignami della stagione appena trascorsa, con i Sens che iniziano male e finiscono decisamente meglio. L’unica differenza, il ruolo invertito dei portieri, perché stavolta è Anderson a sostituire Hammond, e non il contrario. Peccato, ma va bene così; in fondo, da queste parti siamo sempre abituati ad aspettare l’anno prossimo. Next year.

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