Andrea Gios e l’elezione nel Consiglio IIHF

Andrea Gios e l’elezione nel Consiglio IIHF

Nel 1990 Paul Seeber è stato l’ultimo italiano ad essere eletto nel Consiglio della IIHF. Dopo trentun’anni d’attesa, Andrea Gios, Presidente della FISG, ha rotto l’incantesimo riportando la nostra Federazione nella stanza dei bottoni. Lo abbiamo contattato per farci raccontare, in una lunga intervista, la sua elezione e svelare il dietro le quinte.

Quali armi ha usato per convincere i delegati delle altre Federazioni a votarla?

È stato difficile e complesso, perché abbiamo settantasei nazioni membre, di cui cinquantotto con diritto di voto, ogni Federazione ha due voti e sono tutte allo stesso livello, quello russo conta quanto quello indiano o bulgaro. Ciò significa che quando ci si propone per una candidatura come questa, bisogna avere la pazienza di presentarsi e sentire tutte le Federazioni, anche quelle che non si conoscono: ho parlato con tutte tramite videoconferenze e mi sono confrontato con loro. La differenza l’ha fatto il sostegno avuto dalla lista formata da russi, svedesi, finlandesi e nordamericani. Mi ha dato molta soddisfazione, perché ho avuto la stima di membri, poi quasi tutti eletti, di Paesi dove l’hockey è importantissimo.

Ha battuto un certo Miroslav Šatan…

Ammetto che sono stato sorpreso, perché il meccanismo di votazione è abbastanza complicato: ci sono diverse votazioni, per  essere eletti bisogna ricevere almeno il 50,01% dei voti; secondo i miei calcoli, pensavo di raggiungere l’obiettivo alla terza o alla quarta votazione. Invece sono stato eletto alla prima e sono rimasto meravigliato.

Al primo turno, il sesto candidato era Franz Reindl con due voti in meno (52 contro 50, nda).

Ci sono dei meccanismi abbastanza particolari, come detto prima bisogna portare a casa anche il voto del Kirghizistan, che hockeisticamente ha una piccola Nazionale, ma che vota come tutti gli altri. All’interno del Congresso ci sono giochi, siamo stati quattro giorni a parlare con tutti, penso che la chiave siano state le numerose videoconferenze, durante le quali ho spiegato le ragioni per cui volevo essere eletto e illustrando la mia esperienza manageriale che, in questo momento particolare, può aiutare, perché dopo ventisette anni cambiamo Presidente, c’è stata una modifica statutaria e un nuovo sistema di amministrazione nuova. Voglio portare professionalità, completando quelle che sono le abilità di altri. Ho voluto dare delle motivazioni precise, mentre ho notato che altri candidati dicevano “Votatemi perché ho giocato bene a hockey”. Io non ho guardato il passato, ho inviato il mio curriculum vitae, ma ho pensato al futuro presentando il mio progetto di sviluppo delle aree contigue o la necessità di implementare nuovi impianti.
Se mi hanno votato, vuol dire che hanno riconosciuto la mia esperienza, la mia voglia di fare; al Congresso si premia la passione per questo sport, hanno riconosciuto quanta ne ho e l’impegno profuso in questi anni per avere sempre qualcosa di più. René Fasel, anche se non apertamente, mi ha sempre sostenuto; con lui avevo un rapporto di amicizia personale, maturato in questi anni. Anche lui ha capito quanta passione metto per questo sport, nel lavoro. Sono queste le qualità emerse: passione, professionalità e serietà.

Qualità che saranno messe alla prova con l’organizzazione delle Olimpiadi di MilanoCortina del 2026 (Gios è parte del Consiglio di amministrazione della Fondazione MilanoCortina 2026, nda).

Dopo l’elezione Fasel è venuto da me a complimentarsi e mi ha detto: “Vediamo se riesci a organizzare le Olimpiadi a favore del nostro sport”. È un tema importante, come Italia ci giochiamo molto.
In IIHF ritengono che per l’organizzazione dell’hockey, le peggiori Olimpiadi viste sono quelle di Torino 2006. Abbiamo molto da fare.

Come cambiano i rapporti tra FISG e IIHF con Lei nel Consiglio della IIHF? Se cambiano.

Non credo che debbano cambiare. Vi garantisco che dal 2014 ad oggi i rapporti sono già cambiati. Quando sono stato eletto non avevamo alcun peso nella Federazione internazionale, oggi siamo molto considerati, è cambiata la percezione. Abbiamo ricevuto ottimi contributi da IIHF su progetti di promozione.
Vi racconto un aneddoto molto eloquente: una volta eletto a maggio 2014, insieme a Tommaso (Teofoli, Responsabile settore hockey, nda) abbiamo chiesto un incontro a Fasel per conoscerlo, l’appuntamento è stato fissato all’8 agosto “a denti stretti”, comunicandoci che il presidente avrebbe concesso mezz’ora. Dalle 11.30, siamo rimasti fino alle 17 e quasi perdevamo l’aereo. Nel successivo Congresso semestrale di settembre ci ha presentati in maniera meravigliosa, mai più ripetuta per nessun altro.
Negli ultimi sette anni è stato svolto un grande lavoro e la mia elezione ne è il frutto. Tutti i progetti creati, in particolare quelli sul settore giovanile, li abbiamo condivisi con loro. È evidente che per vedere i risultati ci vuole tempo.

Sabato in seno alla IIHF è stato vissuto un cambio epocale. Qual è il suo pensiero sui 27 anni di Presidenza di Fasel?

A livello internazionale tutti sono contenti di quanto realizzato; in ventisette anni IIHF è cresciuta esponenzialmente: sotto il profilo dello sviluppo del gioco, rispetto dei giocatori, maggiore attenzione alla salvaguardia fisica degli atleti, i quali sono stati messi al centro di ogni scelta, di ogni politica. È aumentato il mercato, le presenze ai Mondiali . La IIHF è l’unica Federazione al mondo che organizza rassegne iridate ogni anno per ogni Divisione. C’è stato un salto di qualità incredibile; abbiamo quasi decuplicato le Federazioni associate, nel 1994 erano la metà che rappresentavano  l’Europa, Canada, Stati Uniti e Giappone.
Lo share televisivo del torneo di hockey maschile alle Olimpiadi, equivale al 50% di tutte le discipline invernali. Durante i Giochi di PyeongChang 2018, le attività social legate all’hockey ha superato il 60%. Abbiamo risultati incredibili per uno sport che non è giocato a tutte le latitudini.
Adesso la sfida è quella di crescere in Asia: sono state assegnate due Olimpiadi negli ultimi dieci anni, se riusciamo a coinvolgere la Cina e tutto il resto del continente diventa un mercato straordinario.
Abbiamo anche delle aree di sviluppo europee interessanti: i balcani, l’Italia. Pensate a quanto possiamo fare di più: dobbiamo trovare degli spazi, e per ottenere l’obiettivo dobbiamo creare qualità. La qualità l’abbiamo solo se le squadre hanno denaro da spendere. Per avere denaro da spendere, ci vuole pubblico e stadi moderni. Bisogna riportare la gente allo stadio, dove non va solo per lo sport, ci va perché vuole un luogo di aggregazione caldo, dove magiare qualcosa con gli amici.

E a livello personale, che rapporto ha avuto?

Straordinario. Dopo la visita citata, ci siamo incontrati altre volte, siamo diventati amici. In questi anni lo chiamavo minimo una volta al mese. Per ascoltare le sue opinioni. Lui è un uomo che ha relazioni internazionali, dalla KHL alla NHL. Lo abbiamo invitato molte volte in Italia, qualche volta ha accettato.
Ho un ottimo rapporto anche con Luc Tardif.

A proposito di Tardif, era la scelta della FISG?

Sì. Inizialmente avevamo un dubbio su due persone: Franz Reindl e Tardif. Con il franco-canadese ho un ottimo rapporto, perché negli ultimi cinque anni sono stato nella Commissione Finanze della IIHF, lui ne era Presidente essendo Tesoriere. Abbiamo lavorato sui budget e sulla situazione finanziaria rendendoli più trasparenti ed è stato apprezzato dalle Federazioni; una volta il budget era di cinque, sei pagine, adesso è di quaranta.
All’atto del voto, Tommaso (Teofoli, nda) voleva votare Sergej Gontcharov, io ho tenuto duro e fatto le mie scelte. Avevo dato la mia parola a Luc e avevo parlato con Reindl dicendogli che se c’erano situazioni che lo richiedevano, avrei votato anche per lui, perché sono previsti quattro turni di votazioni.

Del programma di Tardif cosa l’ha convinta?

Non ho giudicato i programmi, perché erano tutti belli e con idee e innovazioni. Ho valutato la persona; penso che un Presidente della Federazione internazionale prima di tutto debba avere una personalità forte, perché rappresenta il mondo dell’hockey, il CIO, ma anche la KHL, NHL e i rapporti commerciali. Deve essere una persona aperta, capace di dialogare. In questo ruolo vedo meglio un mediterraneo di un tedesco, deve saper parlare con tutti. Fasel aveva questa qualità che rivedo in Tardif: ha una bella presenza, ha una buona cultura imprenditoriale, formata quando era manager di un’importante azienda francese nel settore delle costruzioni. A me piaceva questo background. Viene dall’hockey giocato, prima canadese, poi francese. È stato Presidente della Federazione francese. Franz (Reindl, nda) ha le stesse doti, però è più chiuso e difatti ha gestito l’elezione da tedesco, forse ha sbagliato in quello.

Tra le proposte dei candidati era interessante quella di Gontcharov inerente la riforma della Top Division, allargata a ventiquattro partecipanti suddivise in quattro gruppi da sei squadre e il ritorno del Relegation Round. Una formula che dà maggiori possibilità si salvezza alle Nazionali più deboli, contrariamente a quanto accade oggi che le penalizza.

Per noi la formula attuale è sicuramente penalizzante. La proposta di Gontcharov piace anche a me e l’ho sottolineato nel mio discorso. Bisogna studiarla economicamente, così come tante altre proposte emerse durante il Congresso. Due arene per un torneo a ventiquattro squadre non bastano, ne servono almeno quattro. Non ho idea in quanti Paesi possono ospitare un tale torneo. almeno che non sia itinerante. Bisogna considerare che quando si organizza un Mondiali, lo scoglio più grande è l’affitto delle arene: nel 2018 l’utilizzo di due settimane della Royal Arena di Copenaghen è costato 4 milioni e mezzo di Euro.
Il vero problema, però, è la 1a Divisione Gruppo A a sei squadre: se sbagli una partita non sei promosso, ne sbagli due rischi di essere retrocesso. Mi piacerebbe una 1a Divisione a dieci squadre con playoff.
Sarà il compito di questo Consiglio. Qualcosa va cambiato, non c’è dubbio.

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