La meglio gioventù: Davide Fadani

La meglio gioventù: Davide Fadani

Tra i giovani giocatori della Nazionale più attesi al Mondiale di Top Division di Riga c’era Davide Fadani; le sue qualità tra i pali hanno attirato l’attenzione degli scout della NHL. I casi di Covid-19 che hanno investito la Nazionale italiana durante il raduno gli hanno, suo malgrado, spianato la strada verso il palcoscenico per Nazionali più importante. In questa intervista il portiere si racconta iniziando dalle parole, troppo severe per sé stesso, usate nel dopo partita di Italia-Canada ricordando l’esordio contro il Kazakistan del giorno prima:

Tutti mi dicono che ho questo aspetto del carattere, soprattutto quando le cose non vanno come vorrei. Quattro goal in dieci minuti sono stati sicuramente troppi, anche se so benissimo che chi conosce l’hockey e guarda la partita sa che c’è poco da fare. Personalmente non era la prestazione che mi aspettavo con le carte che mi sto giocando in Nazionale, in questo torneo, nell’ambiente in cui siamo. La prestazione contro il Canada ha fatto capire meglio chi sono.

Qual è il tuo segreto o quello di un portiere in genere, quando entra da backup, per farsi trovare pronto tra i pali?

Tutto dipende dall’approccio, dalla cattiveria che hai dentro. Non dico che domenica mi aspettavo di giocare, sarebbe una mancanza di rispetto nei confronti della squadra e di Fazio, però sapevo che le possibilità c’erano; mi sono preparato mentalmente a questa situazione, non sempre facile, dove le cose non vanno sempre bene. Il segreto quando gioco dall’inizio o si subentra da backup sono i primi minuti: se si subisce un goal subito le situazioni si complicano, invece iniziando un buon primo tempo senza subire goal, come successo nei minuti successivi al mio ingresso contro il Canada, dà fiducia alla squadra e soprattutto a me. E’ ciò non è successo contro il Kazakistan, dopo quasi 5’ ho incassato un goal  in penalty killing su deviazione.

Come vive un ragazzo di vent’anni questa avventura “particolare” creata dalla pandemia di Covid-19?

Come esperienza di un Mondiale è incredibile, la vivi come un bambino, forse se sei giovane ancora di più.
Dal punto di vista delle restrizioni è una situazione particolare, l’organizzazione è ottima. Le giornate sono monotone, servirebbe un po’ di svago ogni tanto, in ogni caso siamo qui per giocare a hockey e dare il meglio nelle sette partite.

Com’è stato lavorare al fianco di Andy Bernard?

Andy l’ho seguito molto nei Mondiali precedenti, sicuramente è un ottimo portiere, sono rimasto colpito: è una brava persona, disponibile e mai arrogante.
In realtà abbiamo avuto poco a che fare, io sono nella seconda parte del raduno, non ci siamo allenati molto insieme per tutte le dinamiche che sappiamo.

La tua carriera inizia nelle giovanili del Milano. Qual è stato il motivo che ti ha fatto scegliere il ruolo di portiere?

La scelta del ruolo del portiere è stata casuale; ho iniziato a pattinare molto presto, a tre anni e mezzo ero già sul ghiaccio dell’Agorà di Milano. Con mio fratello, di un anno e mezzo più grande di me, giocando sceglievo di stare in porta. Mi è sempre piaciuto stare tra i pali, col tempo le prestazioni sono arrivate e ho continuato in questo ruolo, molto particolare che dà molte soddisfazioni, ma ha anche i suoi lati negativi, come successo contro il Kazakistan.

Chi era il tuo idolo hockeistico?

Per quelli visti all’Agorà, Jason Muzzatti. Abbiamo in comune la data di nascita del 3 febbraio, un po’ di caratteristiche; lui ha giocato tanto a Milano, lo seguivo, era tra i più forti in Italia anche col bastone. Finché ho giocato nelle giovanili anche io lo usavo molto, adesso il gioco si è evoluto, nei senior il gioco di bastone si resetta.
Prima c’era Mike Zanier, era più un idolo di mio padre che mi ha trasmesso la passione per lui, perché era degli anni ’90.

Nel 2015 vai a giocare a Lugano. Come mai questa scelta?

Ho avuto un paio di richieste, tra cui quella del Lugano. Inoltre c’era anche Paolo Della Bella che era aiuto allenatore dei portieri a Chiasso e Lugano. Lui mi ha consigliato di accettare, era una grande occasione, anche se cambiare vita non era facile: avevo appena finito le medie, dovevo cambiare scuola e sarebbero costati tanti sacrifici ai miei genitori, sia economici, sia di tempo. Avevo deciso di non trasferirmi a Lugano, ma di spostarmi da Milano quando necessario. Ne è valsa la pena.

Nel 2018 entri nel giro delle Nazionali, al tempo stesso vieni adocchiato dagli scout della NHL che ti inseriscono nel Draft entry list. Cosa significa per te?

E’ stato inaspettato. Avevo giocato un paio di Mondiali giovanili, probabilmente il migliore è stato quello con la Nazionale Under 20 a Tychy, in Polonia (2019, Mondiali Under 20 1a Divisione B, nda), ero stato scelto come miglior portiere del torneo. A fine stagione sono state pubblicate le ultime liste del Draft entry, è stata una grande sorpresa. Sono stato inserito nella lista anche lo scorso anno, ero in una posizione migliore. Quest’anno non sono stato inserito, sono stato fuori di poco. Avevo contatti con un paio di squadre, ma non se n’è fatto nulla per via della pandemia, ma va bene così.  Mi interessa far bene col Lugano, ci saranno altre occasioni come successo ad altri portieri coi Summer camp.

Nel 2019 firmi il primo contratto da professionista col Lugano e nel 2020 debutti in National League. Quanto è importante sentire per un giovane la fiducia di una società tra le più quotate in Svizzera?

E’ molto importante. Mi ha dato tanta fiducia e sicurezza: non ho ancora dimostrato nulla, è soltanto l’inizio. Questo contratto di cui ho ancora due anni dei quattro per i quali ho firmato con una società così importante, serve per essere sicuri di avere un’occasione in un Campionato dei migliori in Europa. Non basta firmare un contratto per essere professionista, lo devi dimostrare sul ghiaccio.

Andrea Fadani

In famiglia tuo fratello Andrea è difensore del Milano Bears. Come vivete le vostre esperienze di hockeisti?

Mio fratello è una persona veramente importante per me. Mi aiuta tanto, come successo dopo la sconfitta contro il Kazakistan. E’ stato tra le persone che mi è stato più vicino. Non ci vediamo tutti i giorni, sento sempre la sua vicinanza e so che se ho bisogno di qualche consiglio, lui c’è. Anche lui poteva giocarsi le sue carte, le cose sono andate diversamente. Lui è fiero di me, io di lui.

E i tuoi genitori come vivono il tuo percorso hockeistico?

A loro devo tantissimo. Hanno fatto tanti sacrifici come detto prima, siamo una famiglia umile, con lavori umilissimi. Questo è un modo per ringraziarli: so che loro sono fieri di me, indipendentemente da come andrà la mia carriera. Il loro desiderio più grande era quello di avere entrambi i figli in un campionato del genere e avere l’opportunità che ho avuto io. Ovviamente ognuno ha il suo percorso, la sua vita. Dopo il Kazakistan ero dispiaciuto per me stesso, ma anche per loro, perché so quanto ci tengono, loro sono sempre i primi tifosi.

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