Amarcord Azzurro: Gustavo Alajmo

Amarcord Azzurro: Gustavo Alajmo

Nell’hockey su ghiaccio, come ogni altro sport, non c’è gara senza la presenza di un arbitro; figura di cui si conosce poco, diversamente da un giocatore o da un allenatore. Spesso è oggetto di critiche, anche feroci e oltre il limite dell’educazione, per le sue decisioni prese o la sua direzione. Amarcord Azzurro, rubrica di Hockeytime.net che anticipa il Mondiale della Nazionale, non può tralasciare alcun rappresentante dei colori italiani: per quanto concerne la classe arbitrale la scelta è caduta su Gustavo Alajmo. Avremmo potuto optare per altri nomi ritenuti, probabilmente, maggiormente altisonanti o più meritevoli, ma questo non sta a noi giudicarlo. La scelta di Alajmo è stata dettata da una situazione, più unica che rara, da lui stesso raccontata. Un particolare che pochissimi conoscono e che non sembrerà vero dopo la lettura della sua intervista.

Nato il 17 agosto 1945, il suo rapporto con il ghiaccio iniziò presto:

“Fin da ragazzino mio padre, ex giocatore dell’Hockey Club Milano ai tempi dei famosi Gerosa, Calcaterra e altri, cominciò a portarmi al Piranesi ad assistere alle partite. Da lì nacque la mia passione per questo stupendo sport”.

Con l’attività di arbitro non fu amore a prima vista:

Nel 1968  Gerosa, all’epoca  Presidente della CNAHG (Commissione Nazionale Arbitri Hockey su Ghiaccio, nda), allora si chiamava così, durante una cena al ristorante del Piranesi, in occasione di una partita, mi chiese se fossi interessato a diventare arbitro; onestamente l’offerta non mi interessò e rifiutai.  Gerosa, in combutta con mio padre, dopo poco mi fece pervenire a casa  regolamento, maglia e fischietto. A quel punto mi dissi:« perché no?», e cominciò l’avventura”.

Nella stagione 1969/70 il suo nome appariva tra gli aspiranti arbitri, tuttavia non impiegò molto tempo ad essere nominato Internazionale:

“Fu durante la Presidenza di Roman Gasser nel 1977, ma se il percorso da Allievo Arbitro a Internazionale è stato rapido, lo devo soprattutto a Roman che ha avuto fiducia in me e ai miei maestri: Sommariva, Tuzzi e in particolare Cesare Tadini che mi hanno preso per mano alle prime armi e hanno saputo insegnarmi senza remore o timori di essere superati; anzi, quando si resero conto che potevo camminare da solo, si sono fatti da parte e sono diventati i miei linesmen. Ancora un grande grazie a loro”.

La prima partita internazionale tra rappresentative avvenne in Italia:

Si trattò di una partita amichevole tra Italia e Francia in occasione dell’inaugurazione dello Palazzo del Ghiaccio di Como: ero ancora Aspirante Arbitro, in coppia con Cesare Tadini. Fui un disastro, paralizzato dalla paura e salvato da «Cece» Tadini”.

La sua carriera non si fermò a quella amichevole:

“Ho arbitrato una decina di Mondiali, di cui due del Gruppo A e i restanti del gruppo B”.

Alajmo fu, involontariamente, al centro di una situazione singolare, un “paradosso sportivo” che oggi sarebbe impensabile, soprattutto ad alto livello:

Nel 1982 al Campionato del Mondo in Finlandia si verificò due volte che un arbitro o linesmen fossero designati ad ufficiare un incontro della propria nazionale. Non posso spiegare il perché e il come, ma all’epoca le designazioni erano tutto un gioco di poteri e convenienze, gli arbitri erano scelti dai DS. Accadde a me in Italia-Canada e allo statunitense Jim Doyle  in Canada-Usa. Non è un’esperienza simpatica in quanto si ha sempre il timore di favorire la squadra della propria nazione e si rischia di diventare troppo fiscali. Mi ricordo che per eccesso di zelo, giudicai un offside come intenzionale (non lo era) e dall’ingaggio conseguente in zona di difesa azzurra, nacque il goal del temporaneo pareggio canadese. Dave Tomassoni me lo fece rimarcare a giusta ragione; ma cosa fare? La pressione e la tensione sono altissimi a quei livelli e l’errore non è ammesso. Da allora, a mia conoscenza, non si è mai più verificato.

Alle Olimpiadi di Sarajevo, nel 1984, oltre alla Nazionale, l’Italia venne rappresentata nell’hockey, anche dalla classe arbitrale:

Sicuramente l’Olimpiade, per un atleta o un arbitro, è il massimo di quanto si possa anellare nella propria carriera.
Umanamente è stata una avventura indimenticabile, la sfilata durante la cerimonia di apertura, il contatto con tutti i migliori atleti del mondo, con la gente del luogo, mi è parso di vivere un sogno. Solo vari anni dopo mi sono reso conto di quanto quell’evento avesse contato per me. In  occasione delle Olimpiadi di Torino, durante la cerimonia di apertura la televisione ha zoomato sul mio fraterno amico Jim Corsi ; mi sono messo a singhiozzare come un bambino, ricordandomi che avevamo già vissuto insieme la stessa esperienza. Dopo la sfilata l’ho chiamato al telefono e parlandoci ci siamo commossi tutti e due, anche Ron Ivany che era in camera con lui; Ron a Sarajevo era secondo di Dave Chambers. Sono soprattutto i legami che si creano tra persone di sport che sono importanti e si ricordano con piacere e commozione, più delle performances stesse. Sportivamente come ho precedentemente detto, è il massimo per un atleta, e l’arbitro è un atleta, a quei livelli. Da un punto di vista tecnico, arbitrare un Mondiale Gruppo A o un’Olimpiade, non c’è diversità; forse emotivamente, quando si entra in campo e ci si trova di fronte la bandiera olimpica, il che non è poco.
Purtroppo la micro-frattura subita alla caviglia tre settimane prima, durante l’incontro amichevole Italia-Germania Est a Varese, ha condizionato molto le mie possibilità e ho dovuto limitarmi ad arbitrare solo tre partite.

In una carriera un arbitro può trovarsi a dirigere gare che possono essere ritenute più o meno difficili, dettate dalla rivalità delle formazioni sul ghiaccio o dal nervosismo strisciante tra i giocatori:

“Non ho rimembranze di partite particolarmente difficili. Scavando nei ricordi, forse  fu la finale di un Campionato Europeo Juniores a Jesenice, tra Jugoslavia e Romania. Non fu una partita ma una caccia all’uomo per 60 minuti e se ben mi ricordo gli ultimi 10 minuti ambo le squadre avevano solo 9 giocatori a disposizione, tutti gli altri erano stati espulsi”.

Ci sono molteplici tipologie di giocatori, ma Alajmo non ha mai fatto distinzioni di sorta:

A mio avviso non esistono giocatori  più o meno difficili da tenere a bada, tutti sono sullo stesso livello; non si può partire dal presupposto che uno sia più difficile di un altro, si cadrebbe nella discriminazione. Un arbitro non può permetterselo. Ci sono giocatori più impetuosi, con reazioni più istintive di altri,  ma vanno giudicati nel contesto della situazione e non stigmatizzati come « difficili ».

Alla domanda sul rapporto tenuto in campo con i giocatori l’ex arbitro internazionale lascia il giudizio agli atleti da lui diretti:

Sarebbe forse più giusto che a questa domanda rispondessero i giocatori dell’epoca; da parte mia posso assicurare che ho sempre cercato di capire i giocatori, di mettermi al loro posto per poterli dirigere. Sono stato spesso criticato perché parlavo molto ai giocatori, l’arbitro per è parte integrante del gioco. Mi sono ritrovato a complimentarmi con un giocatore o un portiere, per il bel gesto tecnico, così come ho sempre cercato di prevenire stando vicino all’azione e  parlando, prima di sanzionare, cercando sempre di instaurare un rapporto basato sulla fiducia reciproca e sul reciproco rispetto. Altra cosa che ho sempre fatto è stato parlare ai portieri: sono sempre sul ghiaccio, soli, come gli arbitri e due parole possono far scemare la tensione. Ho tra i giocatori alcuni amici fraterni, primo fra tutti Jim Corsi con cui ho vissuto momenti bellissimi durante i sette anni trascorsi a Montreal e continuiamo a sentirci e vederci regolarmente anche dopo il mio rientro in Europa”.

Alajmo è stuzzicato anche sul rapporto con i suoi ex colleghi e la domanda lo mette un po’ in difficoltà:

Si tratta di una domanda a cui rispondere non è facile anzi è come arbitrare Canada-Italia. Proverò a farlo e assicuro che sarò sincero: ho sempre stimato i miei colleghi e gioito per i loro successi; non ho mai mancato di complimentarmi per una bella prestazione. Purtroppo all’epoca, si parlava di arbitri milanesi, arbitri bolzanini e così via, dimenticandoci che eravamo tutti arbitri della CNAHG. Questo catalogarci può aver creato qualche tensione e qualche invidia, ma mai nulla di importante. Un episodio a conferma della nostra solidarietà: dopo l’episodio dei rigori nella partita Bolzano-Varese, subii un linciaggio morale da molte parti, arbitri e squadre esclusi, tanto che decisi di dimettermi onde togliere pressione dalle spalle di Roman Gasser e dai miei colleghi. Tutti gli arbitri indistintamente insorsero e si dichiararono solidali con me, pronti a dimettersi in massa, dissuadendomi dal farlo. Solo gli arbitri possono sapere cosa si vive quando si è in campo e lo stress che sopportiamo. Questo fa si che tra colleghi ci sia compattezza. Un bellissimo documentario «Gli Arbitri» fatto da un regista belga che ha seguito gli arbitri di calcio durante un campionato europeo, mostra esattamente live tutto quanto vive un arbitro, prima, durante e dopo la partita. Le sensazioni sono le stesse, che si tratti di calcio, hockey o altro sport di contatto. Vale la pena vederlo ma soprattutto mostrarlo a tutti coloro che denigrano l’operato degli arbitri.

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