Covid-19, quando l’hockey è in prima linea: Daniele Fusini

Covid-19, quando l’hockey è in prima linea: Daniele Fusini

La pandemia di Covid-19 ha generato un numero enorme di lutti, anche l’hockey su ghiaccio ha pagato il suo triste tributo; tuttavia nella lotta al virus il nostro amato sport non si è tirato indietro: atleti, personale sanitario e tifosi stanno dando il loro contributo per dare speranza a chi è stato contagiato ed è oggi ricoverato in ospedale. Tra essi c’è Daniele Fusini, difensore del Como, il quale racconta ad Hockeytime.net la sua esperienza nella realizzazione dell’ospedale da campo allestito nella Fiera di Bergamo, capoluogo di una delle provincie più martoriate in Italia, avvenuta in dieci giorni: 142 posti letto, di cui 72 dedicati alla terapia intensiva e sub-intensiva e i restanti a pazienti usciti dalla fase critica.

Tutto ha avuto inizio lunedì 23 marzo: abitualmente ricopro il ruolo di Project Manager in un’azienda che si occupa di installazione di impianti idraulici industriali e civili; a seguito al Decreto Legge pubblicato, il giorno precedente ero con mio zio Giacinto Giambellini a mettere in sicurezza il cantiere che sto seguendo e abbiamo portato con noi dell’attrezzatura in casi di interventi extra; durante il viaggio di ritorno mio zio, Presidente della Confartigianato di Bergamo, ha ricevuto una chiamata da parte dell’ospedale da campo con la quale gli veniva chiesto di presentarsi nel primo pomeriggio per un primo sopralluogo, perché avevano ricevuto i permessi e avrebbero iniziato i lavori: servano circa dodici montatori, a noi sembravano pochi, un numero così esiguo di persone non sarebbe stato in grado di costruire un ospedale in poco tempo. Effettuato il sopralluogo è stato richiamato, successivamente ha inviato un email a tutti gli iscritti alla Confartiginato di Bergamo con la quale ha richiesto la loro disponibilità: ricevute in breve tempo numerose risposte, anche telefoniche, mi ha contattato chiedendo di dargli una mano nella gestione. Ho iniziato il lunedì sera stesso come suo assistente, sono stato al telefono fino alle 23 e ho organizzato le squadre di operai: la prima di dodici persone, quelle richieste inizialmente, tra le 6 e le 7 del giorno successivo, alle 7.30 era operativa. Il mercoledì c’erano un’altra ventina di lavoratori pronti a dare il proprio contributo. Trovare volontari non è stato un problema, ho continuato a ricevere email anche nei giorni seguenti; terminata l’organizzazione delle squadre, insieme a mio zio ci siamo resi conto che ad Emergency e agli Alpini serviva la nostra esperienza nella gestione quotidiana di un cantiere di circa 300 persone, in cui bisogna impartire direttive e mantenere un certo rigore; stavamo costruendo un ospedale, con relativi annessi e connessi, e non un campo di tende.
Mio zio è stato fondamentale per il reperimento di materiale e dei volontari in caso di estremo bisogno, io, avendo ormai creato un gruppo fidato, mi sono occupato del reperimento di persone tramite passaparola o di materiale di poco conto che qualcun altro aveva in magazzino se un artigiano ne avesse avuto bisogno. Progetti alla mano siamo andati avanti un po’ in parallelo: mio zio ha lavorato prevalentemente in atrio, faceva la spola tra il cantiere in cui c’ero io e l’organizzazione degli Alpini; sono diventato un punto di riferimento per le varie squadre: li facevo interfacciare tra di loro, poiché in una settimana è complicato far conoscere 300 persone tra di loro, e insieme si trovavano soluzioni ai problemi. E’ stata un’esperienza concentrata in un breve periodo che ha portato via tanto tempo: in due settimane penso di aver svolto in cantiere le funzioni di un anno.

Tanta responsabilità per un ragazzo di 25 anni. Daniele, pur lavorando nell’azienda dello zio, come detto Presidente della Confartigianato di Bergamo, non accetta favoritismi, vuole guadagnarsi quello che gli spetta senza passare dalla sua figura.

Non hai avuto paura di non riuscire a raggiungere l’obiettivo?

Se non avessimo avuto paura del virus probabilmente non avremmo fatto questa impresa: siamo stati guidati da un insieme di emozioni e di sentimenti, anche la paura di non riuscire a centrare l’obiettivo, in ogni caso, ci ha stimolati a superarci. Senza paura di non farcela, darei per scontate le mie scelte e le riterrei  giuste, al contrario controllo, chiedo conferma del mio operato o mi confronto con qualcuno prima di concludere un ragionamento e questi aspetti, secondo me, hanno portato alla costruzione così veloce dell’ospedale da campo e, oserei dire, così bene; poi, magari, qualcosa non è stato fatto a regola d’arte, ma in queste due settimane non abbiamo riscontrato grandi problemi. È proprio la mancanza di piena sicurezza di sé stessi che probabilmente induce a fare meglio. Bisogna anche da dire che l’obiettivo non era la data di chiusura cantiere e apertura dell’ospedale, per noi quella data era il prima possibile: più giorni si recuperavano, più persone si riuscivano a salvare. Ed è stato quello che ha mosso tanto i volontari accorsi in Fiera. In provincia di Bergamo chiunque ha perso qualcuno o ha conoscenti che hanno subìto una perdita, questo aspetto unito alla grande forza di volontà, tipica dei bergamaschi, i quali sono persone “casa e lavoro”, li ha portati a compiere un’impresa di questo tipo. Ho sempre fatto fatica a mandar via la gente dal cantiere, c’era chi non se ne voleva andare. Ci sono stati momenti in cui ci si è resi conto di essere davvero in troppi, si faceva fatica a lavorare per la quantità di persone impegnate, sebbene fossero completamente coordinate tra di loro e andassero d’accordo. E’ stata una situazione diversa dal solito anche per me: capita di fare orari abbastanza impegnativi: in condizioni normali arrivo a casa alle 7, alle 8 o alle 9 di sera, mi metto sul divano e mi addormento, invece, durante la realizzazione dell’ospedale da campo, mi presentavo in cantiere alle 6:30, andavo a casa a mezzanotte, riuscivo a giocare fino alle 2 e non avevo sonno. E’ stato strano.

In una provincia d’Italia ad alto tasso di contagio, le probabilità che si proponessero volontari positivi o asintomatici era alto. Quali precauzioni sanitarie avete adottato nel reclutamento dei volontari?

Fin dalla prima email abbiamo chiesto loro se fossero stati sottoposti a quarantena o se fossero stati a contatto con persone positive. In cantiere abbiamo sempre controllato la temperatura in ingresso, in uscita e nelle varie pause. I lavoratori si spostavano con l’autocertificazione appresso. In loco c’era sempre la presenza di medici di Emergency e si mantenevano le distanze. I volontari si presentavano con la mascherina, se non l’avevano la richiedevano e la indossavano tutto il giorno; se la toglievano venivano rimproverati dai medici o da me e la rimettevano immediatamente. C’è stato grande senso di responsabilità e grande lavoro di squadra.

Com’è stato il rapporto con gli Alpini?

E’ stato di grande collaborazione. Si sono accorti del nostro potenziale, con una semplice chiamata potevamo arrivare più o meno dappertutto; è successo nella realizzazione della stanza della TAC per la quale abbiamo recuperato il piombo necessario per schermarla e i montatori. Siamo stati presi come punto di riferimento nel momento in cui servirà qualcosa. Loro hanno gestito la logistica.

Ci sono episodi che ti hanno colpito?

Tutti i responsabili delle varie squadre erano sicuramente più esperti di me, nonostante ciò si fidavano quasi ciecamente di quello che gli dicevo e non si facevano problemi ad affidarmi delle decisioni o compiti importanti.
C’è un altro episodio che ricordo volentieri: nel secondo giorno, verso il tardo pomeriggio, siamo rimasti con poco materiale tra cui le viti (ne abbiamo utilizzate 2.000-3.000 all’ora), gli imbianchini, che si erano organizzati quasi autonomamente, pur di non fermarsi, tinteggiavano le pareti appena queste venivano sollevate e fissate nella parte superiore generando scompiglio tra i montatori che, al completamento dell’imbiancatura, trovavano le pareti bagnate.

Ti aspettavi questa esplosione di solidarietà in un’epoca in cui nella nostra società indifferenza e individualismo hanno il sopravvento nei rapporti umani?

Penso che avrebbe avuto bisogno di alcune situazioni che si sono poi verificate soltanto in questo periodo: tutto ha origine dalla gran laboriosità dei bergamaschi che in questo momento sono relegati a casa. In altra situazione sono sicuro che avrebbero dato il loro contributo alla sera, dopo il cantiere e non si sarebbero tirati indietro a lavorare di notte. Il bergamasco deve sempre tenersi impegnato con lavori manuali: probabilmente in questi giorni erano a casa a costruire qualcosa, a tinteggiare la ringhiera o stavano dipingendo casa. Ricevere una chiamata come la nostra ha dato loro la possibilità di dare una mano concreta alla propria città, penso abbia acceso in loro qualcosa che li ha spinti a costruire l’ospedale da campo in Fiera. Sicuramente senza questo problema del virus non si sarebbe costruito in così poco tempo.

Cosa ti lascia questa esperienza?

È stata un’esperienza molto formativa, molto bella e ha suscitano sentimenti che si provano raramente.

Il post di ringraziamento di Daniele pubblicato sul proprio profilo Facebook

Foto e post Facebook concessi da Daniele Fusini

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