Mondiali TD: il precedente con Svizzera e Svezia

Mondiali TD: il precedente con Svizzera e Svezia

In occasione dei Mondiali riportiamo alla luce antiche battaglie degli uomini che hanno lottato per la maglia Azzurra. Uno spaccato con il quale si vuole narrare la storia della Nazionale e far conoscere ai lettori le gesta di campioni e accadimenti sconosciuti o dimenticati.

Sono ventidue le sfide in ambito mondiale tra Italia e Svizzera; una delle più combattute è stata quella disputata il 3 aprile 1989 nella cittadina norvegese di Lillehammer durante la rassegna iridiata di Gruppo B.

L’obiettivo di entrambe le formazioni era la promozione nell’elite dell’hockey, gli Azzurri volevano anche smaltire la delusione del torneo cadetto di Alba di Canazei di due anni prima che costò la qualificazione alle Olimpiadi di Calgary. Sotto la guida di Ron Ivany, silurato dalla Federazione nell’ottobre 1988 e richiamato un mese più tardi, il Blue Team si presentò alla sfida con i rossocrociati, ritenuta cruciale ed allo stesso tempo impossibile, con il bilancio di una vittoria contro l’Austria (4-3) e una sconfitta contro i padroni di casa scandinavi (1-3); alla vigilia del match coach Ivany dichiarò a La Gazzetta dello Sport:

“Sono più forti di noi questi svizzeri, che presentano 4 linee d’attacco tutte fortissime, giocano a memoria, hanno tecnica e fondo atletico”.

Degli elvetici Piergiorgio Giambonini sul Giornale del Popolo scriveva: “La Svizzera è in effetti l’unica compagine presente a questi Mondiali B ad aver evidenziato già in partenza un assetto tecnico-tattico degno di un hockey che si possa definire moderno e di qualità” ed accusava l’Italia di giocare spesso al limite del regolamento. A testimoniarlo erano le 12 penalità minori, una di 5’ e tre disciplinari di 10’, collezionate nelle due precedenti gare. I presupposti indicavano un match “caldo”, invece gli Azzurri controllarono il loro ardore subendo solo 8’ di penalità contro i 6’ degli avversari; una partita giocata con disciplina, durante la quale la seconda linea d’attacco, formata dal trio Nigro-Pellegrino-Simioni, svettò su tutti con sei delle sette reti messe a referto sopperendo alla serata opaca di Jim Corsi responsabile di cinque dei sei goal subiti. L’Italia sfruttò l’ampio spazio di manovra concesso dagli avversari, sia nelle ripartenze che in attacco.

Per la Svizzera la sconfitta fu cocente, il Mondiale di Gruppo B doveva rappresentare un trampolino di lancio verso quello di Gruppo A, organizzati un anno più tardi dalla Federazione elvetica a Berna e Friborgo. A fine gara Ivany dichiarò:

“Abbiamo puntato tutto sulla velocità ed in effetti abbiamo sorpreso la Svizzera. Ottimo l’assetto difensivo: l’area è sempre stata liberata con velocità, lucidità e precisione. Disciplina e correttezza, nonché l’efficace controllo della zona centrale, sono stati i nostri altri atouts vincenti”.

Simon Schenk, coach degli svizzeri ammise la superiorità italiana:

“Conoscevamo il potenziale dell’Italia, ma siamo stati nettamente sorpresi dal loro ritmo, dal loro continuo ed intenso forechecking e dai loro veloci contropiedi… Occorre comunque aggiungere che la differenza l’ha fatta soprattutto la grinta. Dopo due vittorie facili, ai nostri giocatori stasera è mancata la disponibilità mentale per svolgere con disciplina, determinazione e continuità anche i ruoli più oscuri, ma importantissimi. In poche parole, insomma, abbiamo facilitato in tutto e per tutto il compito degli azzurri”.

L’Italia subì la sconfitta più pesante con la Svezia nel 1959, tuttavia gli Azzurri poterono vantare alcune attenuanti: dopo le Olimpiadi di Cortina del 1956, la Nazionale italiana ebbe l’esigenza di rinnovarsi, sebbene con lentezza, come sostenuto da Luigi Grassi sulle colonne de “La Gazzetta dello Sport”: “perché questa benedetta scuola dei giovani è sempre stata – e lo è purtroppo anche tuttora, salvo a Cortina e Ortisei – il punto debole della nostra organizzazione hockeistica, sia per gli orari inadatti riservati ai giovani, sia per lo scarso interesse dei dirigenti, sempre propensi a pagare di tasca e saporitamente per risultati concreti immediati, piuttosto che a seminari per il futuro.”.

Il Consiglio Federale del 6 luglio 1958 decretò la partecipazione del Blue Team al Mondiale dell’anno successivo in programma in Cecoslovacchia; l’adesione era ritenuta “indispensabile per collaudare la squadra e per completare la sua preparazione”. La truppa Azzurra rischiò di non partire a causa del mancato ottenimento dei visti per entrare in Cecoslovacchia. Allo scopo di evitare di dover rinunciare alla manifestazione, e di conseguenza non poter puntare alla qualificazione delle Olimpiadi del 1960 di Squaw Valley, il Segretario Aldo Caroli andò a Roma e ottenuta la documentazione necessaria, la Nazionale partì con un giorno di ritardo (il 4 marzo, anziché il 3), vigilia del debutto in programma il giorno seguente contro la Svezia, medaglia di bronzo l’anno prima ad Oslo. Gli Azzurri si presentarono sul ghiaccio in non perfette condizioni fisiche, i due test match contro il Canada di qualche giorno prima mieté alcune “vittime”: ad Alfredo Coletti venne ingessato il braccio sinistro per una frattura, Bernardo Tomei denunciò dolori alla spalla destra, Igino Larese Fece riportò una distorsione alla caviglia destra, Gianfranco Da Rin si fratturò il mignolo del piede sinistro e Giancarlo Agazzi si procurò una contusione agli adduttori della coscia sinistra. Ad esclusione di Coletti, i problemi fisici non negarono agli altri giocatori la possibilità di scendere in pista e, seppur acciaccati, gli uomini di Bill Cupolo lottarono a testa alta per 10’, prima di cedere alla superiorità tecnica della Nazionale delle Tre Corone che scardinò la gabbia di Giuliano Ferraris con Hans Mild. La vittoria scandinava per 11-0 racconta anche di un’Italia che pensò a risparmiare le energie in vista degli impegni successivi, poiché ad ogni segnale di ripresa degli Azzurri, gli avversari rispondevano con la loro prestanza fisica e il gioco duro.

Ultime notizie
error: Content is protected !!