Il punto sull’hockey femminile italiano con Nadia Mattivi

Il punto sull’hockey femminile italiano con Nadia Mattivi

(Comun. stampa HC Pinè) – In occasione del quarto Pink Hockey Day di domenica prossima, Nadia Mattivi  sarà all’Ice Rink Pinè, componente dello staff che si occuperà delle giovani promesse di casa nostra. Ci è sembrata la giusta occasione per andare a casa sua, sull’Altopiano di Piné e fare il punto sull’hockey femminile italiano. 

Nel 2013 in occasione della XXVI edizione delle Universiadi invernali, erano presenti Pergine le migliori nazionali femminili di hockey su ghiaccio e in quell’anno, a soli 13 anni eri già nel roster delle “Eishockey Verein Bozen Eagles”, formazione che da quasi un decennio sta dominando l’hockey femminile italiano, cosa ricordi di quei momenti?

Ricordo un’atmosfera bellissima, un hockey veloce, tanta gente sulle tribune e la foto con le ragazze americane dopo la finale vinta dal Canada sulla Russia. Quell’anno è cominciato tutto. Con le Eagles Bolzano di coach Max Fedrizzi  abbiamo vinto l’oro  nella finale di EWHL a Vienna (il miglior risultato internazionale di sempre per una squadra italiana di hockey femminile n.d.r.), ricordo di aver messo a segno due punti. Io provenivo dal mondo maschile tra Piné e Pergine, dove mio fratello Luca aveva giocato in A2; mi allenavo in tutte le occasioni possibili: a Piné, a Pergine e un paio di  volte alla settimana anche al Palaonda di Bolzano.

Il tuo impegno a livello internazionale ti è valso importanti riconoscimenti e l’interesse del Linköping HC, formazione d’elite del campionato femminile svedese, con la quale hai trascorso la stagione passata, come è stata la tua esperienza in Svezia?

Un’esperienza sicuramente positiva per tanti aspetti. Sono partita con una conoscenza base dell’inglese, favorita anche dal fatto che nelle Eagles si parla inglese, essendovi delle  ragazze americane. Ho potuto perfezionare soprattutto il parlato, grazie al fatto che in Svezia praticamente tutti parlano inglese. Sono state giornate molto intense, dedicate in prevalenza allo studio ed allo sport. La scuola era di tipo internazionale,  nell’arco della giornata alternavo lezioni e pause studio sul modello universitario, poi nel pomeriggio  mi spostavo al centro sportivo per l’allenamento a secco dalle 17.00 alle 18.30, quindi allenamento su ghiaccio dalle 19.00 alle 20.30, defaticamento e rientro in bici, mi muovevo quasi sempre in bicicletta, anche sulla neve e sul ghiaccio. Ho un bellissimo ricordo del pubblico di Linköping, numerosissimo e molto caloroso, mi mancherà anche l’alto livello tecnico del campionato che ci ha visto finaliste contro il fortissimo Lulea, team che ha prevalso nella terza e decisiva gara della finale play off .

Hai iniziato molto presto a familiarizzare con il ghiaccio, dapprima inseguendo tuo fratello Luca e poi nelle giovanili del Pinè, con Jaromir che ti ha insegnato l’hockey ed i tuoi genitori Luciano e Fatiha che da grandi appassionati di hockey ti hanno sempre sostenuta ed incoraggiata. Quanto è importante la famiglia per arrivare ai tuoi livelli?

Se sono arrivata a questo livello lo devo sicuramente ai miei, hanno fatto molti sacrifici, sostenendomi, incoraggiandomi, dedicandomi molto tempo e risorse economiche: per gli allenamenti,  le partite, i Camp, le attrezzature, non mancando mai alle partite, anche a costo di levatacce e lunghi viaggi. Certamente al primo posto c’è lo studio, fortunatamente al liceo scientifico Curie di Pergine ho avuto un Tutor che mi ha seguita da vicino nel percorso scolastico e molti insegnanti che mi hanno compresa ed aiutata ad organizzarmi. Ad esempio durante il terzo anno il sabato ero quasi sempre in trasferta, per cui registravo le lezioni di matematica e latino e le riascoltavo durante il viaggio in pullman. Una vita non poco impegnativa,  ma una giornata senza allenamento per me è una giornata a cui manca qualcosa, confesso che l’hockey è per me come una droga.

Il prossimo anno scolastico avrai gli esami di maturità presso l’Istitito Curie di Pergine, quindi resterai in Italia. Proseguirai la tua esperienza con le Eagles? E successivamente il nord America? Cosa ti aspetti dal futuro?

Il prossimo sarà l’anno della maturità, difficilissimo, il più impegnativo, tornerò con le Eagles, poi ad aprile ci sarà il mondiale e perderò molte giornate di scuola oltre alle lezioni del sabato. In agosto andrò in USA, a Boston e nel Maine per visitare due college che mi hanno contattata. Infatti grazie alla buona prestazione offerta agli ultimi mondiali, ho avuto 6-7 contatti dal nord America, ho scartato le altre opzioni e sono rimaste queste due scelte che valuterò con attenzione.

Il prossimo 24 giugno si terrà sul ghiaccio di Pinè la quarta edizione del Pink Hockey Day, dove tra l’altro farai parte dello staff tecnico. Come vedi il futuro dell’hockey femminile? Nella prossima stagione nella formazione U11 del Pinè ci saranno sei bambine, si può immaginare un futuro con una formazione senior Trentina?

Non vedo l’ora che venga domenica per vedere le ragazze all’opera! L’hockey femminile in Trentino è sicuramente in crescita,  ammiro moltissimo Elisa ed Eleonora  per il lavoro che stanno facendo per organizzare la rappresentativa femminile trentina, è un lavoro fondamentale, basti pensare che sono l’unica 2000 che gioca ancora in provincia. Sicuramente la federazione ha compreso che quello femminile è un terreno fertile e che può portare risultati, come ad esempio il bronzo mondiale di Asiago, se si da una prospettiva alle ragazze ci sarà sicuramente un ritorno. Dopo il mondiale ho scritto al presidente Gios in qualità di capitano della nazionale, ecco un estratto della mia lettera:
“ …Vorrei innanzitutto ringraziare lei, la FISG e soprattutto Asiago per la meravigliosa e perfetta organizzazione del mondiale. Non le nascondo la soddisfazione mia e delle mie compagne per lo storico risultato raggiunto dalla nazionale femminile U18.… Questo risultato è anche frutto della decisione della FISG di consentire alle ragazze di giocare con i maschi nelle categorie superiori, cosa che dovrebbe proseguire anche in futuro, dando così la spinta per un’ulteriore crescita del movimento hockeistico femminile, considerato  che  il campionato femminile italiano è un po’ limitato sia  nel livello che nel numero di partite che si vanno a disputare. Investire sull’ hockey femminile penso sia una grande opportunità per tutto il settore hockey, almeno per tre ordini di motivi:
1) A livello mondiale la IIHF lo sta facendo per avere più tesserati: coinvolgere l’altro sesso permetterebbe alle società di hockey di avere più bambini-bambine in tutte le categorie e più quote sociali da  investire sugli allenatori;
2) A livello mondiale la IIHF sta investendo sull’hockey femminile per dimostrare che l’hockey non è uno sport violento, dove gli infortuni sono minori rispetto ad altri sport ed avvicinare così più pubblico.
3) Infine penso che in vista di una prossimo affidamento all’Italia di un’Olimpiade invernale, sia giusto avviare la costruzione di una squadra di hockey femminile che possa competere con le altre grandi nazioni hockeystiche e quindi il progetto deve essere costruito per tempo”.

A Nadia Mattivi e all’hockey femminile italiano auguriamo un futuro radioso!

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