Le avversarie dell’Italia: la Gran Bretagna

Le avversarie dell’Italia: la Gran Bretagna

La Gran Bretagna neo-promossa in 1a Divisione A dopo tanti tentativi andati a vuoto negli scorsi anni, non è certamente un Paese, hockeisticamente parlando, tra gli ultimi arrivati, anzi, come in praticamente tutti gli sport moderni, è stata una delle Nazioni guida del processo di creazione delle strutture organizzative che hanno fatto di un divertente passatempo da praticare su laghetti ghiacciati, uno degli sport di squadra più seguiti al mondo. Membro fondatore della IIHF nel 1908 insieme a Belgio, Francia, Svizzera e Boemia (la moderna Repubblica Ceca), gli inglesi lasciano il segno già l’anno dopo a Chamonix, quando, durante il secondo Congresso della IIHF, nel quale venne ammessa la Germania come membro, vincono la Coppa Chamonix, battendo la Francia dopo 40 minuti di overtime. I partecipanti al torneo non erano in realtà le Nazionali, ma squadre di club che vennero chiamate col nome della Nazione che rappresentavano. Per gli inglesi scese sul ghiaccio il Princes Ice Hockey Club, fondato a Londra nel 1896 dal Maggiore B.M. Patton, fondatore anche della British Ice Hockey Association e primo capitano della Nazionale, che debutterà l’anno successivo, 1910, vincendo il primo campionato Europeo, a Les Avants,in Svizzera, mettendo in fila Germania e Belgio. Il bronzo vinto alle Olimpiadi di Chamonix nel 1924, 4-3 sulla Svezia, fece da preparazione al grande trionfo del 1936 ai Giochi di Garmisch-Partenkirchen (validi anche come Campionato del Mondo e d’Europa), quando la Gran Bretagna divenne il primo paese ad interrompere il dominio canadese, aggiudicandosi anche la Tripla Corona di allora, composta da Olimpiadi, Mondiali ed Europei. In un torneo caratterizzato da una confusione totale nel regolamento, con proteste e contro proteste da parte di tutte le squadre, gli inglesi vinsero 2-1 contro il Canada con goal decisivo di Edgar Brenchley, prima di pareggiare 0-0 con gli USA in una partita che si prolungò per 6 overtime. La vittoria canadese contro gli stremati americani diede l’oro agli inglesi, primi nel gironcino finale, che comprendeva anche la Cecoslovacchia. Il 5° posto ai Giochi di S. Moritz del 1948 rappresentò l’ultimo risultato rilevante di un movimento che dopo la guerra perse appeal tra i praticanti, forza e visibilità. Basti pensare che dal 1951 la Nazionale ha partecipato per sole due edizioni (1962 e 1994) ai Mondiali di Gruppo A, riuscendo ad emergere dalla 1a Divisione B solo quest’anno, grazie al trionfo nei mondiali casalinghi di Belfast l’anno scorso, dopo 3 tentativi consecutivi falliti. Clamoroso quello di Eindhoven 2015 quando una Gran Bretagna praticamente già promosso si suicidò perdendo 2-1 l’ultima irrilevante partita contro la Lituania e consegnando la promozione alla Corea del Sud. La mancanza di una vera attenzione nei confronti del Team GB, come viene chiamato dai pittoreschi tifosi, da parte dei clubs ed un campionato organizzato, soprattutto in passato, privilegiando lo spettacolo e quindi imbottendo i rosters dei club di stranieri, ha sempre relegato in secondo piano le sorti della Nazionale, a dispetto del boom mediatico ed in termini di pubblico che l’hockey ha vissuto e vive nel paese da partire dagli anni ’90 con la creazione delle varie ambiziose e ricche “Superleagues” che si sono succedute, tutte, a dire il vero, naufragate in poco tempo sotto il peso di gestioni economiche insostenibili, alla ricerca del campione da ingaggiare con lauti stipendi. Dal 2003 l’Elite Ice Hockey League (EIHL), unico campionato professionistico in cui sono rappresentate le 4 Nazioni che compongono la Gran Bretagna, ha portato più stabilità e controllo delle spese, con un sistema di monitoraggio dei clubs abbastanza rigido, di cui hanno fatto le spese negli anni piazze storiche dell’hockey come Newcastle, Hull o Londra, scomparse o ridimensionate.

Il coach

Peter “Pete” Russell, 43 anni scozzese, è il coach del Team GB dal 2014-2015. Ex portiere di discreto livello, è conosciuto ed apprezzato per il suo lavoro con i giovani: ha lavorato a Edimburgo, Paisley e Cardiff con i vivai e ha diretto per 3 anni la Okanagan Hockey Academy, la prestigiosa scuola di formazione canadese che ha una filiale in Gran Bretagna. Nelle ultime stagioni ha svolto il ruolo di head coach sia della Nazionale sia dei Milton Keynes Lightning, mentre dall’anno prossimo allenerà gli scozzesi del Braehead Clan, lasciando la panca della Nazionale per concentrarsi unicamente su quello che ha chiamato “il ritorno a casa”.

Russell predica un hockey molto fisico, quello che lui stesso chiama “blue collar hockey” in riferimento al lavoro degli operai, in cui è fondamentale il lavoro delle linee e la coesione di squadra, penalizzando forse la parte più imprevedibile e talentuosa dei giocatori, ma in effetti la Gran Bretagna dà più l’impressione di un buon collettivo piuttosto che di una squadra in cui eccellono dei campioni.

Il roster

Il roster della Gran Bretagna si potrebbe quasi recitare a memoria, visti i pochissimi cambiamenti subiti negli ultimi anni, fedele al credo di Russell sull’importanza del gruppo di cui parlavamo sopra, o forse, più malignamente, perché il materiale a disposizione non è poi così vasto. Punti fermi del Team GB sono sicuramente gli esperti David a Jonathan Phillips degli Sheffield Steelers, il difensore dal tiro mortifero Ben O’Connor, che vanta esperienze e trofei anche in Kazakistan, mentre in attacco da temere sono Robert Farmer, che alcuni anni fa prometteva una carriera forse più luminosa dell’attuale, Robert Dowd e l’eterno Colin Shields. Manca invece per infortunio Liam Stewart, protagonista l’anno scorso a Belfast sotto gli occhi di papà Rod.

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