Mondiali: il precedente con Lettonia e USA

Mondiali: il precedente con Lettonia e USA

In occasione dei Mondiali riportiamo alla luce antiche battaglie degli uomini che hanno lottato per la maglia Azzurra. Uno spaccato con il quale si vuole narrare la storia della Nazionale e far conoscere ai lettori le gesta di campioni e accadimenti sconosciuti o dimenticati.

Italia e Lettonia si incontreranno per la seconda volta sul suolo tedesco in occasione di un Mondiale. Il precedente, datato 12 maggio 2010, vide le due Nazionali affrontarsi, a Mannheim, nell’ultima partita del Gruppo B della fase preliminare. Entrambe sconfitte da Svizzera e Canada, il match assunse vitale importanza in ottica salvezza: il successo avrebbe garantito il passaggio al Girone di qualificazione ai playoff, al contrario si sarebbero spalancate le porte dell’inferno del Relegation Round.
Tra i lettoni era ancora vivo il ricordo della beffa subita a Mosca nel 2007 e la sete di vendetta era enorme: a sorpresa coach Rick Cornacchia schierò Adam Russo al posto di Daniel Bellissimo; al primo  arrembaggio dei baltici, Janis Sprukts, aggirata la gabbia, mise Kaspars Daugavins in condizione di segnare dalla breve distanza. Il goal a freddo complicò i piani Azzurri che rimediarono, nella seconda parte del primo periodo, con Alexander Egger, il quale, messo a sedere Edgars Masalskis, finalizzò il suggerimento di Michael Souza. Era destino che il Blue Team dovesse rincorrere, Russo fu bombardato dagli ex sovietici che trovarono il nuovo vantaggio con Aleksandrs Nizivijs sul taglio orizzontale di Herberts Vasiljevs. Nel terzo tempo John Parco dovette accomodarsi nel penalty box favorendo l’allungo di Arvids Rekis puntuale sul rebound concesso dal goalie italiano. Protesa in avanti in cerca del goal che avrebbe potuto riaprire la gara, l’Italia subì il contropiede di Martins Karsums, fermato irregolarmente da Armin Helfer. Gli arbitri fischiarono il rigore eseguito da Nizivijs e neutralizzato da Russo. Fallito il possibile 4-1, i lettoni incassarono il secondo goal del pomeriggio con l’iniziativa di Giulio Scandella. Gli Azzurri presero vigore, ma a tradirli fu la trattenuta di Manuel De Toni commutata dagli arbitri in penalità che, al 57.02, costò il momentaneo 4-2 di Kaspars Daugavins. Le ultime speranze furono spente nel finale dal goal a porta vuota da  Karsums. Nonostante la migliore prestazione del torneo, gli Azzurri dovettero alzare bandiera bianca e pensare ad una salvezza ancora da conquistare.

Agli occhi dei tifosi di hockey, soprattutto tra le giovani leve, gli Stati Uniti appaiono come una Nazionale impossibile da battere. Con a roster numerosi giocatori NHL, il meglio che l’hockey possa esprimere,  servirebbe un vero miracolo all’Italia per riuscire nell’impresa. Nello sport nulla è impossibile e una Nazionale italiana capace di piegarli ci fu: era il 1982, il Blue Team tornava nell’elite mondiale dopo ventitre anni, la nuova politica federale, adottata dal 1977, si basava sull’uso smodato degli oriundi, una generazione di italo orgogliosa di vestire la maglia Azzurra che per loro esprimeva un legame forte  con le loro origini. L’obiettivo dichiarato era la salvezza: dopo la sonora sconfitta per 9-2 contro l’U.R.S.S., la seconda giornata il calendario metteva l’Italia di fronte agli U.S.A.. Coach Dave Chambers impostò una gara difensiva caratterizzata da ripartenze  e cambi ripetuti, una tattica rischiosa con davanti degli sniper di qualità, ma alla lunga diede si suoi frutti: al goal di Kurt Kleinendorst per gli statunitensi rispose prontamente Dell Iannone; la disciplina nel gestire il pareggio nella frazione iniziale fu basilare. Il cambio di marcia del secondo tempo consentì agli Azzurri di ribaltare il punteggio con Guido Tenisi e allungare con uno scambio di scuola italiana tra Martin Pavlu, in versione suggeritore, e Michael Mair in quella di finalizzatore. Le emozioni erano destinate a non finire, perché gli americani non demorsero ed accorciarono con un goal di rapina, in mischia, di Gary De Grio. Cary Farelli venne sanzionato coi classici 2’, al termine dei quali, uscito dal penalty box uccellò un difensore avversario e consegnò a Iannone un disco che chiedeva solo di essere insaccato. L’Italia insistette e, approfittando dello smarrimento della nazionale a stelle e strisce, siglò il quinto goal con Emilio Iovio al termine di una combinazione con Constant Priondolo. Nel terzo tempo gli States presero d’assalto la gabbia di Jim Corsi, il quale, nonostante una prestazione superlativa, capitolò sotto i colpi di Robert Miller (ancora in mischia) e Mark Johnson (sì, proprio quello di Miracle on ice ed ex Saima Milano) in power play. Il contropiede di Tom Milani scavò un nuovo solco, ricoperto presto da Miller. Nel finale aumentò il nervosismo sul ghiaccio e volarono pugni, pagarono Priondolo e Johnson, seguiti da Michael Amodeo poco dopo. Gli ultimi minuti furono concitati: in situazione di superiorità Ramsey, a botta sicura, intravide il pareggio, Corsi abbassò la saracinesca e obbligò i coaches americani, Bill Selman e Mike Smith, a richiamare in panchina il portiere, ma a 11” dalla sirena, dalla propria blu, Dave Tomassoni archiviò la pratica e l’Italia incassò due punti che a fine torneo si riveleranno fondamentali in ottica salvezza.

Il Presidente FISG, Rimoldi, dichiarò all’Alto Adige:

“E’ un risultato insperato, ma cercato ed al quale si potrà arrivare anche con i giocatori di scuola italiana. Solo che dovranno diventare professionisti, o quasi. Per arrivare a questi risultati bisogna dedicare quasi tutta la giornata all’hockey e non si può avere contemporaneamente un lavoro. Il nostro programma come federazione è quello di avere una nazionale di professionisti, non di “oriundi” ma di professionisti sì perché anche le altre nazionali sono costituite da gente che fa l’hockey come mestiere, anche nei Paesi dell’Est”.

Parole che oggi sono più che di attualità.

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