Martin ha chiuso il suo ottimo bilancio nella National Hockey League dopo 16 appassionanti stagioni, condite da 1134 uscite rispettivamente con Calgary, Tampa Bay ed infine NY sponda Rangers portando a referto uno strepitoso score di 391 reti e 642 assist per 1033 punti con media di poco inferiore ad un punto per uscita (0.91); in post-season invece il folletto di Laval colleziona un rispettabile 42+48 in 102 apparizioni con la storica Stanley Cup del 2004 portata sulle spiagge assolate di Tampa nel suo anno migliore.
Gli inizi tra l’indifferenza generale
Nonostante questi numeri pazzeschi a livello universitario, St.Louis passa inosservato ai draft della Lega, e dopo una buona regular season in IHL con Cleveland, è Calgary ad interessarsi al piccolo Martin, dirottandolo nel farm team di Saint John. L’anno dopo c’è il salto nella Lega più bella del mondo ma i numeri del quebecois non entusiasmano troppo gli dirigenti dei Flames ritrovandosi ben presto a fare la spola tra l’Alberta ed il Nuovo Brunswick con una settantina di uscite anonime in NHL senza troppe soddisfazioni. Calgary fa restyling interno e Martin, complice un infortunio al braccio a limitarlo nella seconda stagione da pro, viene ben presto messo alla porta; nessun team crede in questo folletto di 173 cm e solamente i malandati Tampa Bay Lightning offrono al 25enne canadesino il minimo sindacale per aggregarsi alla franchigia della Florida; sarà uno degli investimenti migliori nella storia della NHL.
Tampa e l’incredibile 2004
L’esplosione arriva alla terza annata in Florida con 70 punti e la definitiva consacrazione nel 2004 facendo incetta sia di premi sia si trofei: in primis la splendida cavalcata vincente di Tampa alla Stanley Cup (con teammate quali Guerin, Andreychuk, Fedotenko…) in finale contro Calgary (suo ex team) con incetta agli NHL Awards con l’Hart Trophy quale miglior giocatore della Lega, l’Art Ross (top scorer con 94 punti!), il Ted Lindsay Trophy della NHLPA ed il Bud Light (per il miglior plus/minus della NHL).
Sempre nel miracoloso 2004 fa parte della spedizione vincente alla World Cup col Canada mentre l’anno del lockout lo trascorre, in riva al Lemano con la sua famiglia da sempre punto di riferimento in attesa del secondo genito con Martin a rinunciare ai faraonici ingaggi provenienti dalla lega russa. Re-indossati i panni dell’Nhlers, è pedina inamovibile dello scacchiere dei Bolts per altri 8 annetti, ricchi più o meno di soddisfazioni personali (ben 3 Lady Byng Trophy alla sportività del giocatore) divenendo una cosa sola con Tampa.
Nella mezza stagione poi mandata alle ortiche dal lockout, Martin ha motivo per riposarsi e tornando on-ice diventa intrattabile con 60 punti messi a referto nelle 48 uscite del 2012/3 portando a casa a quasi nove anni di distanza l’Art Ross col record di giocatore più “stagionato” ad aggiudicarsi il premio quale Top Scorer; l’anno seguente, complice il saluto dello storico LeCavalier, diviene il 13mo Capitano della franchigia dei Bolts e l’infortunio di Stamkos riapre la via olimpica per St.Louis dopo la disastrosa avventura a Torino 2006 con medaglia d’oro portata in Canada nonostante 5 uscite a secco di punti per la corazzata canadese unito a qualche malumore di troppo col GM canadese (e di franchigia) Steve Yzerman.
New York Rangers
Dopo le Olimpiadi, qualcosa si rompe definitivamente in casa Bolts e Martin St.Louis fa valere la propria clausola no-trade accettando di andare a giocare ai Rangers con Ryan Callahan a fare il giro inverso in direzione Florida (assieme a varie pick); consegnato alla storia dei Bolts con 972 uscite e 953 punti in cascina (365 reti e 588 assist) quale miglior scorer di sempre, anche a NY dopo un primo periodo di adattamento diventa pedina fondamentale dello scacchiere di Vigneault; nella corsa alla Stanley del 2014, la morte della madre porta Martin lontano dai playoff per qualche partita ma torna per dare il suo ineguagliabile contributo specialmente nello spogliatoio delle blueshirts ad un niente dal bis della Stanley con LA a portare the mug in California.
Conclusa la corsa alla Stanley, St.Louis sceglie la via del ritiro e della famiglia, nonostante qualche tentazione canadese (vedi Montreal) chiudendo una delle carriere più particolari nelle ultime due decadi, ispirando una generazione di hockeysti a credere in se stessi nonostante il naturale gap ceduto ai rivali, compensato dalla dedizione e perseveranza ad emergere per imporsi nello sport più bello del mondo.