Jaromir Jagr approda al Bolzano nella stagione del primo lockout, nel novembre del 1994: con i biancorossi la fortissima ala destra ceca, all’epoca ventiduenne, disputa la fase finale del Torneo Sei Nazioni, facendo letteralmente sognare un Palaonda ancora agli albori. Erano gli anni ruggenti del giovane Jagr, anni che l’avevano portato a vincere persino due Stanley Cup con i Pittsburgh Penguins: nelle due stagioni precedenti il suo arrivo nel capoluogo altoatesino il ceco aveva raccolto la bellezza di 193 punti (novantaquattro nel ’92-’93, novantanove nel ’93-’94). Nel dicembre del ’94 il Bolzano era impegnato nel girone di semifinale del Sei Nazioni, insieme a Varese, Courmaosta e Villach. Non solo con Jagr, ma con giocatori del calibro di Sergej Vostrikov, Igor Maslennikov, Martin Pavlu e Mike Rosati a difesa della gabbia, i bolzanini vinsero il girone e andarono ad affrontare il Rouen nella finalissima, sempre con il ceco tra le proprie fila. Jagr inizialmente scalzò Pavlu dalla linea con i due fenomeni russi, ma coach Bob Manno ripristinò immediatamente la situazione e, con il consenso dello stesso Jagr, spostò il campione dei Penguins in linea con Dave Pasin e Bruno Zarrillo. Mai scelta fa più azzeccata. Con questa formazione i biancorossi si presentano nella sfida di andata e ritorno con i francesi: a Rouen Jagr trascina il Bolzano nel 7 a 5 finale, mettendo a segno un assist per ogni rete segnata dai compagni (quattro di Pasin, tre di Zarrillo). Due giorni dopo il ritorno in un Palaonda gremito: il Bolzano bissa il successo con un 5 a 3 e va a vincere la Coppa. Questa volta Jaromir Jagr mette a segno due reti: meravigliosa la prima, con il ceco che vola lasciando sul posto gli avversari e scaricando in rete un polsino di rara potenza. Tirando le somme, in sei partite giocate con i biancorossi Jagr mette a segno 16 punti: otto le reti, altrettanti gli assist.
Niklas Hjalmarsson, invece, è storia recente. I Foxes lo accolgono nel corso di questo inverno e, in 18 partite giocate, il difensore raccoglie 22 punti (6+16). Fondamentale soprattutto il suo apporto nel girone di Continental Cup: suo l’assist che ha permesso a Mark McCutcheon di trasformare l’overtime-goal che ha mandato i biancorossi alla Superfinal di Donetsk, beffando i russi del Toros Neftekamsk. Dotato di un’ottima visione di gioco, Hjalmarsson ha lustrato gli occhi degli amanti del bell’hockey, dimostrandosi naturalmente cento gradini sopra tutti. Negli occhi dei tifosi bolzanini restano la miriade di tiri bloccati e una professionalità e un impegno inaspettati per un giocatore in arrivo dall’NHL e magari poco stimolato dalla Serie A: lo svedese non ha certamente preso sottogamba il periodo passato nel capoluogo altoatesino, lasciando un gran bel ricordo a tutti i tifosi italiani.
Hjalmarsson cresce nel HV71, squadra svedese di Joenkoeping, per poi passare all’Oskarshamn prima di giungere in Nord-America nella stagione 2007-08. Draftato già nel 2005 dai Chicago Blackhawks, lo svedese fa il suo esordio in maglia NHL nel 2009/10, anno in cui colleziona 10 punti, e, soprattutto, vince la Stanley Cup nella finale vinta 4 a 2 contro i Philadelphia Flyers. La stagione successiva raccoglie 15 punti, ma i suoi Blackahawks vengono eliminati al primo turno dei playoff dai Vancouver Canucks per 4 a 3 nella serie. Nel 2011/12 Hjalmarsson aumenta il suo bottino personale a 15 punti (1+14), ma ancora una volta il primo turno di playoff gli è fatale: questa volta sono i Phonenix Coyotes ad eliminare Chicago. Poi il lockout, il periodo al Bolzano e il ritorno in Illinois: con i suoi 10 punti in Regular Season contribuisce al dominio dei Blackhawks, che vincono il President Trophy ed eliminano ai playoff prima i Wild, poi i Red Wings in rimonta, infine i campioni in carica dei Kings andando così a vincere il Campbell Trophy. Per Niklas Hjalmarsson quella di quest’anno non sarà la stessa finale del 2010: oggi ormai difensore affermato, nel giro della Nazionale maggiore, lo svedese potrà rendersi protagonista della cavalcata che potrebbe portare Chicago alla conquista della sua quinta Stanley Cup.