Chelsea Furlani: «desidero cantare l’inno indossando la maglia dell’Italia»

Chelsea Furlani: «desidero cantare l’inno indossando la maglia dell’Italia»

In due anni l’hockey femminile italiano ha imparato a conoscerla, campionessa sul ghiaccio e fuori. Questa giovane americana dopo aver mostrato tutto il suo valore in pista è stata apprezzata da compagne ed avversarie anche per le sue doti umane fatte di un mix di simpatia ed umiltà, abbiamo fatto così qualche domanda a Chelsea per capire quale sono le sue impressioni sull’hockey ghiaccio italiano.

(intervista, com. stampa  WIHIN) – Bentrovata Chelsea, quali sono, secondo te, le differenze nell’hockey nord-americano e italiano?

Quando parlo di hockey femminile penso che la mentalità delle giocatrici americane e canadesi sia differente da quella delle italiane. Negli Stati Uniti le giocatrici già intorno ai 12 anni hanno un solo obbiettivo in mente: riuscire a entrare in una Prep School, ossia un tipo di scuola superiore che abbia una squadra abbastanza competitiva da permettere a queste giocatrici di essere notate e reclutate in una Università iscritta nella Division 1 (la NHL per l’hockey femminile). Il numero di giocatrici negli Stati Uniti super di gran lunga il numero di posti disponibili in Division 1 e questo comporta ad una forte competizione. La meta di queste giocatrici è di raggiungere un livello di capacità tale da essere prese in condizione dalle Università e affinché questo avvenga, sono disposte a grandi sacrifici.
Le giocatrici che giocano negli Stati Uniti sono costantemente osservate e selezionate in ogni periodo e circostanza: in allenamenti, partite o tornei. Questo non lascia spazi a grandi margini di errore durante la stagione dato l’ampio bacino da cui le squadre possono scegliere le loro DSC_5269giocatrici. Se non ti esprimi al massimo gli allenatori delle Università rivolgeranno la loro attenzione altrove. Penso che le giocatrici non abbiano ancora questa mentalità perché non vivono la competizione estrema delle loro colleghe americane.
Il numero delle giocatrici non è abbastanza elevato e al tempo stesso non c’è un campionato in cui giocare che possa avvicinarsi al livello della Division 1.
Quando le giocatrici americane devono migliorare le loro capacità, sono disposte a tutto per ottenere i risultati voluti e purtroppo qua in Italia non vedo la stessa determinazione. E’ vero che vogliono migliorare ma la maggior parte delle volte quello che hanno in mente non coincide con gli sforzi messi in pratica perché pensano che ci sarà sempre tempo per lavorare più duramente e migliorare. Questo è ciò che rende le giocatrici americane più forti. Sanno che nel momento in cui non danno il 110% perdono il privilegio di avere un posto in Division 1 che non gli permetterà solo di giocare nel miglior campionato femminile del mondo ma anche di ottenere una educazione universitaria a costi economici molto ridotti.

Qual è la tua impressione sull’hockey italiano, sia femminile che maschile?

Ci sono diversi aspetti da prendere in considerazione e quindi è difficile dare una opinione riguardo un argomento così vasto. Tuttavia l’hockey italiano è molto diverso da quello a cui sono abituata negli Stati Uniti e sicuramente ha un ampio margine di miglioramento.
Non mi intendo molto di hockey maschile italiano e quindi limitando la questione all’hockey femminile penso che sia preso con meno serietà rispetto agli Stati Uniti.
L’Italia ha diverse giovani giocatrici di talento ma per far sì che l’intero movimento cresca bisogna che ogni giocatrice si impegni e entri in competizione con se stessa. Arrivare in ritardo agli allenamenti, parlare mentre l’allenatore spiega, prendere penalità stupide, andare male a scuola, non dare il 100% sul ghiaccio e fuori sono le cause per cui molti allenatori di squadre universitarie lasciano in panchina anche le loro giocatrici migliori. Quando la loro prestazione non è soddisfacente non vengono premiate con minuti in più sul ghiaccio ma al contrario gli allenatori sostituiscono queste giocatrici con quelle che si impegnano a lavorare più duramente. Questo fa si che nessuno dia per scontato il ruolo di titolare.

Quando ti vedremo, di “Azzurro” vestita, in Nazionale?

Sto facendo il possibile per ottenere la cittadinanza italiana e giocare per la nazionale. Se tutto dovesse andare per il verso giusto un giorno sarò abbastanza fortunata da indossare la maglia italiana e giocare con questo gruppo di ragazze. Ci sono molte cose che posso imparare da loro così come io penso di avere altrettante cose da insegnare.
Sono arrivata in Italia 2 anni fa, tutte le ragazze mi hanno accettata nella loro famiglia e non desidero altro che poter stare al loro fianco sulla linea blu e cantare l’inno nazionale indossando la maglia dell’Italia.

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