FACE TO FACE, storie di hockey da tutto il mondo: MIKE DANTON

FACE TO FACE, storie di hockey da tutto il mondo: MIKE DANTON

Face to Face è la nuova rubrica di Hockey Time, un percorso senza frontiere che vi guiderà alla scoperta dei protagonisti dell’hockey attraverso le loro storie, gli aneddoti e le curiosità.

In questa sesta tappa ripercorreremo la vita,  la carriera e le disavventure di Mike Danton…Buona lettura a tutti!!!

MIKE DANTON: DAL SOGNO NHL AGLI INFERI DELLA PRIGIONE
di Matteo Spinelli

Il 21 ottobre 1980, nella vivace città canadese di Brampton, appena fuori Toronto, nasce Michael Stephen Jefferson, all’epoca incosapevole del fatto che la sua futura notorietà sarebbe stata legata non solo ai successi nello sport più amato dal popolo della foglia d’acero, ma anche ad una controversa ed oscura storia che lo ha portato a scontare cinque anni di prigione.
Nei primi anni novanta, il piccolo Mike, centro di stecca destra di un metro e settantacinque, muove i primi passi con i Quinte Hawks e i Bramalea Blues, per poi entrare, a 17 anni nel giro della Ontario Hockey League.
Nella prestigiosa lega giovanile canadese gioca 3 stagioni, prima con i Sarnia Sting, poi con i Toronto St.Michael’s Majors ed infine con i Barrie Colts, con cui vince la Ross Robertson Cup.
Nello stesso anno, il 2000, viene scelto al quinto giro con il numero 135 dai detentori della Stanley, i New Jersey Devils. Spende la prima stagione quasi interamente in AHL, 69 presenze e 19+15 con la casacca del farm team degli Albany River Cats, staccando anche le prime due presenze nella National Hockey League con i Diavoli di Newark.
Un infortunio lo tiene fuori nel 2001/02, mentre l’anno successivo segna i primi punti nella massima lega mondiale, due gol in 17 partite. Non sono certo questi numeri a valergli le prime pagine, bensì la decisione di cambiare nome in Michael Danton per separarsi totalmente dai suoi genitori su cui pende l’accusa, mai provata, di aver abusato dei propri figli.
Il fu Michael Jefferson gioca la stagione 2003/04 con i St.Louis Blues con cui mette a referto 5 gol e 7 assist in 68 partite di regular season; di lì a poco, nei playoff, segnerà l’ultimo gol NHL contro i San Josè Sharks. Poi il buio, il vortice di follia, l’inizio di un incubo la cui limpida verità non verrà mai completamente a galla.
Il 16 aprile 2004, in attesa di tornare a Saint Louis dopo la sconfitta contro San Josè, Mike viene arrestato in quanto mandante di un omicidio che avrebbe dovuto compiersi per mano di Justin Levi Jones, un agente di polizia contattato da quella che all’epoca era la fidanzata di Mike, Katie Wolfmeyer.
Chi Mike voleva morto? Perchè tutto questo? Cosa può spingere un giovane giocatore della NHL a compromettere tutto ciò che ha, rischiare la galera e macchiarsi di un omicidio? Tutto ruota attorno alla controversa figura del suo agente e allenatore a livello giovanile David Frost, che ha avuto Mike nei Quinte Hawks: un personaggio quantomeno losco accusato negli anni di aver abusato di alcuni giovani giocatori, maschi e femmine, tra cui il fratello di Mike, Tom Jefferson.
Tra Frost e Danton c’è sempre stato un rapporto particolare, i due forse erano legati anche da una relazione omosessuale, in una telefonata intercettata i due si scambiano frasi ambigue, e passavano molto tempo assieme anche fuori dal ghiaccio.
Cosa sia realmente accaduto non si sa; Ron Jones, un buttafuori che Mike ha provato senza successo ad assoldare, ha dichiarato che il giocatore gli ha detto di voler uccidere Frost perchè aveva un debito di 25.000 dollari. Levi Jones, il poliziotto che ha fatto finta di accettare l’offerta di Mike salvo poi collaborare con l’FBI, ha invece sostenuto che Mike gli ha confidato di temere che un killer pronto ad ucciderlo fosse in arrivo dal Canada.
Sia l’FBI che Jones sono certi che il bersaglio fosse Frost, mentre quest’ultimo ha sempre puntato il dito contro Steve Jefferson, il padre di Mike e Tom, indiziato di aver più volte abusato dei propri figli, costretti a vivere in topaie circondati da droghe e alcool.
Documentari, libri e fiumi di articoli sono stati scritti su questa assurda quanto triste storia di un ragazzo che ha ammesso le proprie colpe, in parte giustificate dalle ombre che gravano sulla sua giovinezza, tuttavia molti dubbi restano e probabilmente rimarranno per sempre tali, nascosti nella mente di Mike.
Condannato a sette anni e mezzo è uscito sulla parola nel 2009, dopo averne scontati cinque. Da allora afferma senza esitazioni che il bersaglio era suo padre, forse per paura che Frost possa pensare di ucciderlo.

Dopo cinque anni di forzata inattività è ripartito a giocare dai Saint Mary’s Huskies, compagine che milita nel campionato universitario canadese, ritrovando se stesso quanto meno sul ghiaccio; nel luglio 2011 ha quindi firmato un contratto professionistico con l’IFK Ore, club di terza divisione svedese.
Nella prima partita della stagione corrente, Marcus Bengtsson, suo compagno di squadra, batte la testa sul ghiaccio cadendo in preda alle convulsioni, e solo il pronto intervento di Mike evita che ingoi la sua stessa lingua e muoia. Da boia ad angelo della vita, un incredibile disegno di Dio o del destino che dir si voglia.

Il talento non si è perso nelle umide celle della prigione, e il trentunenne canadese da metà dicembre è in forza all’Orli Znojmo, formazione ceca che milita nella promettente EBEL austriaca, mettendo a segno nelle prime 12 uscite due gol e due assist.
Quella di Michael è un’esistenza costellata di alti e bassi, di picchi di notorietà e lampi d’infamia nel cielo del passato che hanno fatto germogliare nel suo cuore il desiderio di costruirsi un futuro normale, e continuare, fino a che il fisico gliene darà possibilità, a fare la cosa che nonostante le mille traversie più gli piace e lo fa sentire sereno, giocare a hockey.

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