Face to Face è la nuova rubrica di Hockey Time, un percorso senza frontiere che vi guiderà alla scoperta dei protagonisti dell’hockey attraverso le loro storie, gli aneddoti e le curiosità.
In questa prima tappa toccheremo ben tre continenti: America, Europa ed Asia. Buon viaggio!
LA VERSIONE DI MARTIN
di Matteo Spinelli
Dici Kariya e pensi subito a Paul, ritiratosi ufficialmente pochi mesi fa dopo aver incamerato 989 caps e 989 punti in 15 stagioni da protagonista in NHL, sette presenze all’All Star Game, un titolo mondiale ed uno olimpico con la nazionale canadese.
Oppure pensi a Steve, suo fratello, 65 presenze nella massima lega nordamericana, tutte difendendo i colori dei Vancouver Canucks, tanta AHL e solide apparizioni nei campionati svedese e finlandese.
E invece c’è anche Martin Tetsuya, il più giovane della famiglia, trent’anni appena compiuti, una carriera scritta lungo la rotta di tre diversi continenti e una laurea in matematica, la materia tanto amata ed insegnata dal padre, ex nazionale canadese di rugby, le cui origini giapponesi sono leggibili negli occhi a mandorla dei tre fratelli e delle due sorelle, una delle quali, Noriko, è pugile professionista.
Una vera famiglia di atleti, in cui scorre anche il sangue scozzese di mamma Sharon, che non ha nulla da invidiare ai quattro fratelli Staal, tre attuali protagonisti dell’NHL, uno, il più giovane, sulla rampa di lancio in AHL.
Paul, Steve e Martin Kariya sono tre campioni del ghiaccio; il primo è di un’altra categoria, più volte accostato al grande Gretzky e capace di condurre da capitano i Mighty Ducks ad un passo dalla Stanley Cup, l’ultimo è l’unico a non aver mai esordito in NHL.
Povero Martin verrebbe da dire, una carriera all’ombra del fratello più celebre che strabiliava il pubblico con le sue mirabili giocate e ha scalato con il Canada la vetta del mondo.
E invece no. Martin è un signor giocatore, un attaccante di un metro e settantacinque che può agire sia da ala che da centro, veloce e di classe, dal rendimento elevato e costante, ricordato con affetto e ammirazione ovunque ha giocato.
Nato a Vancouver come i fratelli, ha anch’egli frequentato l’Università del Maine, e dopo aver preferito l’hockey al golf, altra sua grande passione, ha partecipato a 4 campionati NCAA, raccogliendo 155 punti in 156 partite e importanti riconoscimenti individuali; con un unico rimpianto, quella finale persa che Paul e Steve a loro tempo erano riusciti a conquistare.
Nel 2003 il passaggio al professionismo dell’AHL, gioca 3 partite dei play-off con i Portland Pirates e la stagione successiva rimane nella lega passando ai Bridgeport Sound Tigers.
Tuttavia 26 punti in 77 partite non sono numeri che richiamano i club NHL, alle prese all’epoca con i problemi tradottisi nella cancellazione della stagione 2004/2005.
Con l’opportunità di fare il grande salto al momento preclusa e il desiderio impellente di varcare i confini della AHL, Martin salpa alla volta del Giappone, alla scoperta delle sue origini e dell’Asia League: in 15 partite con i Nikk Ice Bucks mette assieme 18 punti e un’importante esperienza di vita.
L’anno successivo approda in Europa, e in prima divisione norvegese fa 18+47 in 50 partite con la neopromossa Stjernen, guidando il team ad un’insperata qualificazione ai play-off.
Rapidità, visione di gioco e l’abilità nell’accarezzare il disco gli aprono le porte della SM-liiga finlandese: è la stagione 2006/07, Martin veste la maglia degli Espoo Blues e il 18+43 in 51 partite di regular season gli vale il titolo di capocannoniere della lega e l’inscrizione del proprio nome vicino a quello del fratello Steve, vincitore del trofeo due stagioni prima.
Se fai più punti di tutti in una delle top league mondiali, inevitabilmente gli occhi dei grandi club si posano su di te; a bussare alla porta di Martin ci sono i St.Louis Blues, con cui firma un contratto per la stagione 2007/2008.
Martin accarezza l’idea dell’esordio in NHL, di diventare il terzo della famiglia a giocare nel gotha dell’hockey mondiale, ma deve gradualmente rassegnarsi ad una seppur prolifica stagione in AHL con il farm team dei Peoria Rivermen, condita con 16 gol e 37 assist.
Stanco di aspettare il treno, Martin torna in Europa e approda nella ricca e blasonata NLA svizzera, in quella terra che già conosce per le apparizioni alla Spengler Cup con il Team Canada; ingaggiato dai Langnau Tigers sigilla il settimo posto in classifica cannonieri, frutto di un consistente 15+43 in 50 partite.
Non è ancora tempo di fermarsi, e assieme alla moglie fa le valigie e si trasferisce alla Dinamo Riga, squadra di quella KHL russa che nulla ha da invidiare alla NHL, se non la qualità del servizio medico in campo, come avrà modo di testimoniare l’assist-man canadese.
A Mosca si sta giocando il terzo periodo di Spartak – Dinamo Riga con i lettoni in vantaggio 3-1, Martin controlla il disco in zona offensiva, quando in seguito ad una carica del veterano slovacco Obšut finisce contro la balaustra e cadendo sbatte violentemente la testa.
Le drammatiche immagini trasmesse dalla tv russa condannano la lentezza e l’inadeguatezza dei soccorsi; Martin non viene portato fuori dal ghiaccio disteso su di una normale barella, bensì adagiato su di una grossa tela.
Gli esami evidenziano una commozione cerebrale che lo costringe a una prolungata assenza ma non gli impedisce di dare spettacolo nei play-off, quando anche grazie alle sue giocate la Dinamo Riga umilia a sorpresa lo SKA San Pietroburgo.
Il suo bottino totale in KHL, compresa la post-season, è di 27 punti in 47 partite, e il suo ritorno in Svizzera la stagione successiva lascia il vuoto tra i fan lettoni.
Questa volta è l’Ambrì-Piotta a richiedere i suoi servigi, e anche se la prima stagione in Leventina di Martino, come è soprannominato dai compagni, non è di quelle da ricordare, 5 gol e 21 assist in 38 partite e una salvezza conquistata ai play-out dopo un deleterio ultimo posto in stagione regolare, quest’anno il golfista dilettante che ascolta Jack Johnson spera di ridare ai bianco-blu l’emozione dei play-off che manca ormai da un lustro.
Anche se non ve lo confesserà mai, impegnato com’è a dare tutto se stesso per la causa Ambrì, in cuor suo il funambolico canadese tiene accesa la speranza di esordire in NHL, e magari, chissà, di sollevare a sorpresa quella Stanley Cup che nemmeno il glorioso fratello Paul è mai riuscito a conquistare.