di Marco Depaoli
Parlare di Gino Pasqualotto è un po’ come parlare di Ulisse o di Achille. Non si sa mai, ricordando l’età dell’oro, quanto di ciò che si racconta di lui sia verità e quanto sia leggenda. Perché per Bolzano quel ragazzo con i baffoni è un vero e proprio mito. Ha cavalcato gli anni più genuini dell’hockey in Italia, quando questo sport veniva vissuto dai bolzanini e dai loro giocatori con un legame inscindibile. Gino era l’esempio di amico che incontravi al bar di San Giacomo, e leone che osannavi sul ghiaccio la sera.
Così come una katana, splendida e letale, un’opera d’arte non nasce a caso ma è frutto del paziente lavoro di abili maestri. La natura crea sì il materiale, ma l’uomo sceglie la materia prima, l’artigiano la forgia e la tempra, il “togishi” la affila.
La leggenda Gino Pasqualotto ha iniziato a crearla il padre Danilo, portando il bambino a pattinare su ghiaccio ogni giorno. E’ il suo primo tifoso, conservando del ragazzo ogni ricordo e raccogliendo in tutti quegli anni materiale che andrebbe portato in un museo. Il ragazzo viene ben presto osservato da Gino Camin mentre l’altro Gino passa sempre più il suo tempo libero a pattinare con gli amici. Per convincerlo a giocare basta promettergli di pattinare gratis, perché da sola l’idea di poter giocare nel Bolzano gli è sufficiente per sentirsi un privilegiato. La terza mano sapiente è quella di Jarda Pavlu che lo prende con sé all’età di 11 anni nel Latemar, fucina di talenti bolzanini. Con un “sensei” come lui viene tutto più facile e Pasqualotto in un solo lustro passa dall’under 14, alla 16 fino già alla senior in Serie B, giocando anche tre campionati contemporaneamente.
Nella massima serie viene buttato nella mischia a 16 anni da Gerard Morin, col ruolo di ala sinistra. Già un trionfo con 14 gol e 12 assist in sole 22 partite; 26 minuti di penalità, le sue prime “punizioni” inflitte in una carriera da duro, quasi sempre per difendere un compagno. La sua maglia è la 13, embrione della mitica #33 che caratterizzerà il suo percorso, segregando questo numero nella bacheca della storia, intoccabile da chiunque altro. Proprio chi ha creduto in lui, il giocatore-allenatore Morin, colleziona l’assist a Gino per uno dei gol che segnano la storia del Bolzano. Alla sua prima stagione in A, in pista Gino ha già lo spazio di un veterano e nello spareggio di Ortisei contro il Grande Cortina di figure altrettanto mitologiche come i Da Rin, Savaris e “Rommel” Benedetti, sotto di 1-4 a un drittel dalla fine, la rete di Pasqualotto riaccende le speranze per la grande rimonta, finalizzata dal gol di Refatti. E’ il gol del 5-4 che vale lo scudetto. Il secondo titolo dell’HCB, primo di una lunga serie del giovane Pasqualotto che viene ribattezzato “Crazy Horse“, l’imprevedibile gladiatore che come pochi sa accendere la raffinata platea di Bolzano. In 20 anni di casacca biancorossa, dei primi 11 scudetti della storia del Bolzano 10 sono anche opera sua (giusto perché nel ’63 Gino era solo un puledrino). E’ protagonista anche in occasione dell’ultimo scudetto bolzanino degli Anni 80, prima del dominio delle milanesi. Nella serie di finale del 1990 l’Asiago di Zanier e Ronning sta mettendo in difficoltà il Bolzano. Sul 4-4 la tensione si taglia col coltello e l’Asiago pressa in attacco. Il Bolzano è in debito d’ossigeno e deve continuamente cambiare le linee. Pasqualotto raccoglie un disco ballerino e deve alleggerire per il cambio, ma scatta nella sua testa l’istinto della tigre. Dalla sua difesa parte in slalom e uno dopo l’altro trasforma i giocatori veneti in birilli. Il suo disco alle spalle di Zanier è uno dei momenti che i presenti non potranno mai scordare.
Non poteva mancare un decennio in nazionale, tra il ’75 e l’85, il periodo del riscatto della nostra nazionale col passaggio dal Gruppo C a quello A con la promozione di Ortisei.
Bolzano non è mai stata avara di campioni dell’hockey: per citarne alcuni Kenta “Magic Man” Nillson, quell’uomo con i guanti bianchi che faceva quello che voleva, Sergej Vostrikov, il sovietico dagli occhi di ghiaccio con le ali sui pattini, Mike Rosati, l’uomo ragno che chiudeva la porta col cemento armato, Dave Pasin con i pugni rotanti di Mazinga Zeta e Bob Sullivan, l’Asterix con la pozione magica nella borraccia. Dietro di loro c’era sempre lui, Gino Pasqualotto, a protegger loro le spalle. Una figura fondamentale dentro e fuori lo spogliatoio. Siano arrivati da poco col curriculum pesante e l’oro al collo o con le labbra sporche di latte, tutti avevano comunque in lui un punto di riferimento. Una guida per la difficile realtà dell’HCB, un intermediario con l’allenatore, un fratello maggiore severo che ti fa notare gli sbagli e un commilitone pronto a coprirti le spalle in battaglia. In certi casi un vero e proprio amico, come il rapporto con Bob Oberrauch e Lucio Topatigh, con i quali vengono condividisi anche momenti di vita famigliare, persino giocando in squadre diverse.
Pasqualotto si assentò dalla sua Bolzano solo nel ’90/91 in dissidio con lo staff tecnico e si esiliò al Fiemme. Una squadra outsider, non un'”odiata” concorrente. Un altro gesto di rispetto ai suoi tifosi, che poche altre bandiere avranno l’accortezza di riservare anche dall’alto di una “C” sul petto. Il secondo e definitivo addio avviene nel 1994, nei giorni dell’inaugurazione del Palaonda. Stadio fantastico, spazioso, il futuro. Dalla troupe RAI a poche ore del debutto nella nuova dimora, Gino viene invece scovato ancora al PalaFiera per gli ultimi saluti prima della demolizione. Un simbolo dell’hockey vecchia maniera rimpiazzato da un hockey pomposo e moderno con cui Gino ha sempre meno a cui spartire. Pochi giorni dopo c’è la rottura con il club della nuova sede di via Galvani. Gino finisce all’EV Bozen 84 di Misha Vassilev in serie B, per insegnare l’arte a nuovi bolzanini. Le ultime pattinate di una gloriosa vita sempre alla ribalta.
L’hockey a Bolzano viveva per Gino, e Gino viveva per l’hockey. Incontrato decenni dopo, Gino temeva che la gente si fosse dimenticata di lui. Ma ciò non può accadere e infatti all’All Star Night del 2007 (foto in apertura) un Palaonda pieno come una finale scudetto si alza in piedi al suo ingresso in pista. Il ghiaccio si graffia, il tempo si ferma per un attimo, come le lancette del vecchio PalaFiera al fischio dell’arbitro. Pasqualotto è ancora lì per noi, la lucidità di allora e la sicurezza di sempre nel pulire lo slot dalla spazzatura avversaria.
Il corso degli eventi non ha regalato a Pasqualotto una partita di ringraziamento come si deve, rimane quindi solo la festa del 1993 nei giorni intorno al suo compleanno. Durante la partita di Alpeliga contro l’Innsbruck Gino viene premiato con una targa in ricordo della sua carriera. Dalle tribune di via Roma compare uno striscione: “Bolzano la nostra fede. Gino la nostra bandiera“.
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