Luciano Basile: La mia Spagna, la mia Italia

Luciano Basile: La mia Spagna, la mia Italia

(Budapest) – Nei giorni scorsi abbiamo dato ampio risalto alla presenza della Spagna, per la prima volta nella sua storia, in Prima Divisione. Chiudiamo il capitolo con l’intervista al suo coach Luciano Basile, ben noto alle folle di appassionati italiani, il quale si avvale anche dell’aiuto di Diego Scandella (cugino dell’Azzurro Giulio), in qualità di video coach.

Come mai ha scelto di allenare la Spagna?

Premetto che il mio non è un lavoro a tempo pieno, dal 2003 lavoro per l’Hockey Club di Briançon, una squadra iscritta al massimo Campionato francese. Ad inizio stagione avevo ricevuto una chiamata dal mio amico Carlos Gordovil, che era allenatore e adesso è Direttore Tecnico della Federazione, il quale voleva che prendessi in mano la squadra da lui lasciata per motivi di salute. Questo è il primo anno nella storia della Spagna in Prima Divisione, abbiamo cercato di fare un passo in avanti, anche se non abbiamo fatto una preparazione molto importante, ma per questa Nazionale non c’è male: abbiamo giocato un torneo a novembre in Romania, due amichevoli a febbraio e altre due amichevoli la settimana scorsa per un totale di sette, otto giorni insieme durante la stagione; molto poco, tuttavia, ma più di quanto normalmente la Spagna fa.

Luciano Basile e Diego Scandella
Luciano Basile e Diego Scandella

Lei ha detto che avete cercato di fare un passo in avanti; da quanto visto sul ghiaccio contro l’Italia ne è stato fatto uno importante.

Sapevamo che il pallino del gioco l’avrebbe avuto l’Italia, con il caro amico Diego Scandella abbiamo lavorato molto in questi ultimi due giorni con video e allenamenti senza disco, con lo scopo di rimanere compatti, perché onestamente, non abbiamo il livello per giocare in Prima Divisione. Come dico ai miei giocatori, siamo piccoli, lenti e poco abili. Facciamo quello che possiamo, con grandissimo cuore, molta solidarietà e compattezza tattica, aspetti che ci aiutano a nascondere i nostri difetti individuali.

Probabilmente vi dovrete giocare la salvezza con la Sud Corea. Quali sono le probabilità di vincere lo scontro diretto?

Dipende dalla condizione fisica, giocando le due amichevoli contro l’Under 23 del Riga, abbiamo perso quattro giocatori in due giorni; dobbiamo pensare che questa squadra spagnola è composta da dilettanti, nessuno ha come attività principale l’hockey. Il portiere Alcaine possiede una fattoria con 25.000 galline, gioca a hockey come tutti per divertirsi; addirittura ho giocatori, quelli che arrivano da Madrid, che pagano per giocare, quindi non hanno tempo per prepararsi fisicamente. Sono atleti che giocano una quindicina di partite in una stagione, per cui è molto difficile giocare tante partite in pochi giorni. Contro la Corea si giocherà sabato, sarà la terza partita in quattro giorni,  e verrà disputata alle 16.00, dopo aver giocato alle 19.30 del giorno prima contro l’Ungheria, per noi è un grosso handicap; comunque, come primo scopo, non abbiamo quello di salvarci. Lei mi aveva chiesto come mai avevo scelto di allenare la Spagna, Le aggiungo che sono qui per dare una mano. Sono qui, perché questi ragazzi hanno una grandissima passione per l’hockey su ghiaccio; se giocano a hockey è perché hanno veramente voglia di giocare, non hanno nessun altro motivo e come allenatore, quando fai parte di un gruppo così, hai voglia di lavorare tanto e bene per dargli una minima possibilità di soddisfazione. Penso che per l’hockey spagnolo è chiaro che la permanenza in Prima Divisione sarebbe qualcosa di importante, però, anche se la Spagna si salverà non avrà risolto tutti i suoi problemi, e se la Spagna sarà retrocessa, il mondo non finirà. Per migliorare la squadra mi hanno dato la possibilità di lavorare con Diego, con lo scopo di inculcargli una disciplina a livello tattico; ci siamo un po’ riusciti, dobbiamo e vogliamo lavorare in questa settimana. In futuro vedremo.

L’Italia si è presentata a questo Mondiale con nove oriundi, alla Spagna questa possibilità manca.

Il problema è che i “terroni”, come me e i miei genitori, dopo la Seconda Guerra Mondiale  hanno dato vita ad una grandissima immigrazione; in Spagna, purtroppo, c’è stato il Generale Franco che, durante la sua dittatura, non ha permesso a nessuno di uscire dal Paese.  In Canada e Stati Uniti ci sono pochissimi immigranti spagnoli: per esempio a Montreal ce ne sono tre, quattromila contro i centottantamila italiani, pertanto noi non abbiamo possibilità di avere oriundi e anche se ci fossero non ci sarebbero soldi per pagarli e di conseguenza non potrebbero mai giocare per la Nazionale.
Penso che l’Italia, nel futuro, dovrà guardare oltre. Quando sono venuto ad allenare le giovanili in Italia vent’anni fa, c’erano i Gates Orlando, i Chitarroni, i Figliuzzi, i Pellegrino e tanti altri, tutti di grandissimo spessore; oggi, purtroppo, quegli “italos” non ci sono più. L’oriundo non è molto forte, ma è più forte di un giocatore cresciuto hockeisticamente in Italia.

Della sua esperienza italiana, qual è quella che ricorda con più affetto?

Sono arrivato nel 1990 a Bressanone, ero scapolo e lì ho trovato degli amici che mi sono rimasti cari anche oggi, ho visto i loro figli nascere e crescere. Sono stato in diversi posti: oltre Bressanone, a Varese con il mio carissimo amico Pat Cortina, un anno ad Asiago, uno in Val di Fiemme e due anni in Val di Fassa. Sono andato via un po’ amareggiato, perché pensavo di meritare un’altra possibilità, anche se, a dire la verità, sono diventato veramente un allenatore solamente dopo  esser andato via dall’Italia. Quando penso al “Bel Paese”, ho dei buoni ricordi a livello umano, però ricordo anche me stesso come un allenatore non preparato: conclusa la mia esperienza con l’Università di Montreal, avevo una grandissima esperienza con le giovanili, ma a livello Senior ero molto impreparato. Prima di concludere la mia carriera di allenatore, mi piacerebbe tornare in Italia per dimostrare ai miei amici, quale allenatore sono diventato oggi.

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