Lou Vairo: “Sono americano e orgoglioso del mio sangue italiano”

Lou Vairo: “Sono americano e orgoglioso del mio sangue italiano”

(Colonia) – Si è svolta domenica 23 maggio presso l’hotel Maritim di Colonia la cerimonia con la quale sono stati premiati i personaggi prescelti ad entrare nella Hall of Fame della IIHF. Quest’anno i nomi prescelti, inseriti in questa speciale lista, erano quelli di Dieter Hegen (ex attaccante della Germania con la quale ha disputato 12 Mondiali), Riikka Nieminen-Välilä (prima donna a farne parte), Rickard Fagerlund (deceduto il 31 dicembre 2009 ed ex Presidente della Federazione svedese, per l’occasione il premio è stato ritirato dalla figlia Helena), Arturs Irbe (ex goalie della Lettonia e attuale preparatore dei portieri nei Washington Capitals) e Vladimir Krutov (ex attaccante dell’Unione Sovietica). Il Paul Loicq Award, riservato agli allenatori, è stato consegnato all’indimenticato Lou Vairo. Con l’ex allenatore di Fassa e Milano (sponda Saima), ci siamo soffermati per una chiacchierata durante la quale la sua vulcanicità non è mai venuta meno.

Il Paul Loicq Award è un premio assegnato all’allenatore che ha dato un eccezionale contributo all’hockey. In che modo hai aiutato quello italiano?

Prima di tutto voglio  precisare che ho commesso un errore durante il mio discorso, mi sono dimenticato di parlare dell’Olanda e dell’Italia, altri due paesi dove sono stato allenatore. Ho distrutto l’hockey in tre paesi (ride, ndr). Il periodo trascorso in Italia è stato fantastico, soprattutto in Val di Fassa, perché ho avuto l’opportunità di allenare i ragazzi locali che aiutai a crescere. Avremmo dovuto vincere nel 1987 e avremmo dovuto essere in finale l’anno prima, ma siamo stati ingannati dagli arbitri. I giocatori locali sarebbero stati grandi per l’hockey italiano, ma gli arbitri non hanno fatto un buon lavoro.

Quali sono i tuoi migliori ricordi dell’esperienza italiana?

Il campionato era di buon livello. Per me i ricordi più belli sono legati alle persone. Io sono americano di seconda generazione, ma ero orgoglioso che il mio sangue fosse di origine italiana, quando ero in mezzo a loro. Della mia famiglia le persone più anziane sono quasi tutte scomparse, quando morirò i miei discendenti saranno americani. Le mie origini le ricordo quotidianamente nelle abitudini e nella cucina, le generazioni future perderanno tutto questo.

Tra i giocatori Nord americani di origine italiana sono pochi quelli parlano italiano come, ad esempio, Robert Luongo. Qual è a tuo parere il motivo?

Quando nacqui nel 1945, la mia bisnonna, i miei nonni e i miei zii parlavano solo italiano; crescendo l’imparai, ma mio nonno sosteneva che fosse un errore, lui affermava che i ragazzi che vivevano in America dovevano imparare l’inglese; non guardare al passato, ma avrebbero dovuto imparare ad essere americani. Lui insistette perchè noi giovani parlassimo inglese e anche lui, da persona brillante quale era, l’imparò perfettamente e quando nacquero i miei genitori a loro volta lo studiarono.

Sei stato il coach degli Stati Uniti per quattro anni, lottando per il bronzo nel 2001 e in Relegation Round nel 2003. Cosa è successo in due anni all’hockey statunitense?

E’ molto difficile convincere i giocatori a partecipare ai Mondiali. Puoi non credermi, ma adesso ci sono poche persone negli Stati Uniti che sanno dei Mondiali di hockey. Non importa a nessuno di questo torneo. Abbiamo buoni record nelle Olimpiadi e tutti sanno che sono disputati ogni 4 anni. Ti racconto un episodio: a febbraio, quando tornai da Vancouver incontrai delle persone che non conoscevo con le quali parlai delle partite, chiesi loro se guardavano l’hockey durante l’anno, mi risposero che seguivano la squadra degli Stati Uniti solo durante le Olimpiadi. Come vedi non c’è interesse, solo una piccola parte della popolazione è veramente coinvolta nell’hockey. In Italia per esempio si parla solo di calcio, è il primo sport.
Se ci sono molti ragazzi che giocano con passione a hockey, ci saranno più giocatori forti. In Italia e in Germania, come detto,  il calcio è il primo sport, non è così in paesi come la Finlandia, Svezia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Russia e Canada dove l’hockey è molto importante; c’è più responsabilità da parte dei giocatori, c’è una cultura dello sport diversa.

In questa edizione dei Mondiali, nel Relegation Round, è stata giocata USA-Italia. Da che parte stava il tuo cuore?

USA. Ma nelle altre partite ho tifato Italia.

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