Savard is back

Savard is back

Di Max Magi

Anche in un mondo gelido come il ghiaccio e fatto di uomini che si rincorrono coi bastoni in mano prendendosi a cazzotti come moderni gladiatori c’è spazio per le belle favole, storie a lieto fine che sembrerebbero irreali persino in un film, figurarsi in uno sport come l’hockey. L’avevamo visto alle ultime Olimpiadi, quando a mezzo minuto dalla fine il Canada, in finale con gli Stati Uniti, stava portando a casa con un po’ di fatica un oro che, se perso, avrebbe significato lutto nazionale per l’intero paese nonostante il record di primi posti conquistati durante l’intera manifestazione sportiva.
Qualcuno da qualche parte, forse lassù, doveva però aver pensato che così era troppo facile e banale, ci voleva un tocco hollywoodiano con un pizzico di Christian Andersen (no, non è un prospetto per il prossimo draft); ma sì, dai, facciamo pareggiare gli yankees a pochi secondi dalla fine, e poi che sia il buon Crosby a segnare in overtime il gol della vittoria, il fatidico Golden Goal, come urlato con enfasi dal telecronista della TSN mentre Sid the Kid veniva sommerso da una ventina di compagni assatanati. Così fu, dunque, e al termine di questa ormai celebre favola nordica vissero tutti felici e contenti, perlomeno al di sopra del confine fra U.S.A. e Canada.
Ecco, qualcosa del genere è successo pochi giorni fa a Boston. Quando due mesi fa un killer prezzolato di nome Matt Cooke aveva posto fine alla regular season di Marc Savard rinfocolando le polemiche sull’eccessiva durezza di uno sport tanto bello quanto unico, se da una parte ci si scandalizzava (a mio umile parere giustamente) per la mancata squalifica dell’attaccante dei Penguins, dall’altra ci si chiedeva se saremmo riusciti a rivedere in pista il buon Savard prima che l’annata 2009-2010 andasse in archivio. La risposta, tanto bella da sembrare una balla, l’abbiamo avuta sabato scorso, ed ha ricalcato in buona parte l’andamento della sopra citata finale olimpica. Si giocava Bruins-Flyers, ovvero una semifinale di Conference fra due squadre in teoria già soddisfatte di aver buttato fuori dai quarti di finale avversari più accreditati di loro ma in pratica sempre più affamate di gloria, e Boston prendeva subito il largo, prima 2-0, poi 3-1, quindi 4-2. Sembrava fatta per i Bruins, prima vittoria della serie in tasca, ma sempre quel qualcuno di cui sopra, ancora in vena di tocchi alla Andersen, pensava che mancasse qualcosa. In fondo era la partita del rientro di Savard, che si era perso pure la serie contro Buffalo, e allora perché non colorare il tutto con un altro finale da lacrimoni di gioia? Facciamoli pareggiare, questi Flyers, e poi vediamo cosa riusciamo a fare in overtime… Ed infatti al termine del terzo periodo era davvero 4-4, con Briere e compagni che per poco non segnavano addirittura la quinta rete prima della sirena finale (quel “qualcuno” doveva aver perso per un attimino di mano la situazione, o forse si stava divertendo più del dovuto…).
Okay, overtime, e adesso? Beh, appena Savard scende in pista con la sua linea d’attacco gli facciamo arrivare sulla stecca un puck vagante e poi via, ecco un bel raggio laser! E guarda un po’, accipicchia, è proprio quello che è successo! Il puck arriva dalle sue parti, in posizione un po’ defilata, e lui mostra quanto aspettasse quel momento, quanto ci tenesse, quanta voglia di giocare e vincere potesse essere repressa in un solo corpo umano nel giro di due mesi. Il puck non fa in tempo ad arrivare a un metro da lui, che Savard l’ha già sparato nell’angolino alto più vicino, sopra la spalla del povero Boucher.
Avete visto la faccia di Savard subito dopo il suo gol? Ci teneva. Da morire. Non osavo immaginare quali pensieri gli fossero passati per la testa durante quel periodo lontano dal rink, mentre i suoi compagni lottavano disperatamente per un posto nei playoff, ma di certo, nel vederlo dare di matto urlando, sfogando tutta la propria gioia e picchiando ripetutamente il bastone contro il ghiaccio, potevo avere una vaga di cosa pensasse in quel momento. Ecco, quello sì che era il giusto finale della favola vissuta sabato scorso al TD Garden di Boston.
Bentornato, Marc. Giusto in tempo per la festa.

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