Debora Montanari: una mamma olimpionica

Debora Montanari: una mamma olimpionica

Non le manda a dire Debora Montanari, carisma da leader e genuinità croce e delizia di ogni allenatore. Una forte tenacia nel doversi scontrare con la difficile realtà dell’hockey italiano sulle orme dei fratelli, fatta di sacrifici e rinunce, gioie e delusioni, speranze e rimpianti. Nata a Pinerolo il 17 ottobre 1980, 160 per 61 kg, Debora è stata un punto di riferimento per l’hockey rosa piemontese, l’ultima frontiera italiana dopo i primi campionati giocati sull’asse tra Lombardia, Veneto e Alto Adige. Ha più volte colorato le pagine dei quotidiani nazionali ogni volta che i media scoprivano il nostro sport e si sorprendevano del fatto che anche le ragazze potessero allacciarsi i pattini non solo per l’artistico. E che fossero tutt’altro che giganti mascolini. Una vita intensa tra sport, studi (psicologia) e il lavoro come educatrice di prima infanzia, dopo un periodo passato in una cooperativa come educatrice per disabili. Dopo le Olimpiadi è diventata mamma ma la sua passione per l’hockey l’ha ben presto convinta a ritagliarsi ancora uno spazio per impugnare scudo e pinza.

Si sono appena conclusi a Varese i mondiali di In-line e per la prima volta s’è presentata anche una rappresentativa femminile italiana.
Il movimento del roller, come pure quello su ghiaccio, in Italia è quel che è ma, sempre quest’anno, per la prima volta abbiamo visto un campionato italiano femminile anche su rotelle. Un ultimo posto mondiale non è quindi così disastroso, anche se viste le premesse ci si era illusi in qualcosa di più. Com’è l’umore del gruppo e dello staff?

Innanzitutto vorrei precisare che il movimento dell’hockey in-line sembra molto promettente rispetto a quello del ghiaccio, che spero possa riprendersi. Lo scorso campionato ha visto partecipare ben 10 squadre provenienti da tutto il territorio nazionale (sarebbero state 12 ma poi 2 si sono ritirate all’ultimo).
Il livello l’abbiamo poi potuto vedere a Varese: è assolutamente buono in rapporto alle altre nazioni e questo fa pensare che in un futuro si possano fare grandi cose.
Il mondiale? C’è tanta amarezza da parte di tutti per il risultato ottenuto. Quando siam partite per Varese potevamo aspettarci un ottavo posto forse, ma strada facendo vedevamo che proprio non ce lo meritavamo. Abbiamo giocato tutte le partite alla pari e abbiamo sempre perso di misura, a parte la vittoria all’esordio 2 a 0 contro la Spagna, classificatasi poi quinta. Abbiamo secondo me pagato l’inesperienza, soprattutto la non maturità in un confronto così equo in cui è il carattere e la mentalità vincente a fare la differenza. A parer mio la squadra era troppo giovane, che da un lato è una virtù, per quanto secondo me le giovani dovrebbero potersi appoggiare alla spalla delle più esperte e lasciarsi guidare per avere un rendimento senza le preoccupazioni che ancora non sanno affrontare da sole.
Lo staff secondo me è stato spiazzato da questo, poca responsabilità collettiva e troppa attenzione di ognuna verso se stessa e le proprie personalissime prestazioni (“sono stata troppo in panchina”, “mi merito la prima linea e mi ha messo in terza”, “non riesco a segnare”, “lei ha già segnato e io ancora no”….). Credo che con qualche innesto di esperienza e un buon lavoro di testa si possa fare molto meglio in futuro.

Com’è stata la tua avventura personale in maglia azzurra in questa “nuova” disciplina?

Rispetto alla mia prestazione mi trovo soddisfatta; in particolar modo sono felice di come io e Chiara Traversa siamo riuscite a collaborare senza alcuna fatica, dato lo splendido rapporto sportivo oltre che personale tra di noi, nell’alternarci in porta in ogni partita sfruttando la massima lucidità. Alternandoci al primo sentore di stanchezza, per poter garantire alla squadra sempre una prestazione al massimo delle forze. Non credo sarebbe potuto succedere con qualcun’altra perchè la competitività sarebbe stata diversa. Sono estremamente soddisfatta di questo e credo che sia stata l’arma della squadra per rimanere sempre in partita anche nei match più difficili.

Si dice che il passaggio tra il ghiaccio alle rotelle sia problematico, soprattutto per i portieri. Hai faticato per adeguarti? Quale preferisci?

In realtà io gioco a roller in porta da ancor prima di giocare sul ghiaccio. O meglio, ho iniziato su ghiaccio nel 1996 come centro ma poi in estate ho provato sui roller in porta e la stagione successiva ho cambiato ruolo anche sul ghiaccio.
In porta nell’in-line sono un po’ più difficili gli spostamenti e quando sei a terra è molto più complicato spostarsi perché non si scivola. Una volta collaudati alcuni movimenti però è perfetto. In più le porte sono lievemente più piccole e quindi per noi portieri è una semplificazione. A me piace moltissimo, alla pari del ghiaccio; l’unico aspetto dell’in-line che mi piace nettamente di più è la possibilità di giocare con i maschi in tutte le categorie. Il passato ho fatto una stagione in A1 maschile con i Draghi ed è stato molto bello, si cresce molto e si ricevono tiri forti: quel che piace a me.

Un mondiale di in-line che si aggiunge alla collezione di tornei internazionali in maglia azzurra del ghiaccio, tra cui l’Olimpiade di Torino. Cosa ti ricordi maggiormente di quei giorni, che per il nostro hockey sarà difficilmente ripetibile?

Contro le marziane del Canada (0-16 condiviso con Luana Frasnelli) Debora Montanari ha comunque ricevuto i complimenti di Sports Illustrated
Contro le marziane del Canada (uno 0-16 condiviso con l'altro goalie Luana Frasnelli) Debora Montanari ha comunque ricevuto i complimenti di Sports Illustrated

Ho milioni di ricordi bellissimi, mi emoziono ancora a ripensare a tutto. Pensa che durante la cerimonia di apertura ero d’accordo con la trasmissione su RadioDue che sarei stata al telefono con loro durante l’ingresso nello stadio. Peccato che ero talmente emozionata che mentre entravamo ho iniziato a gridare e mi sono dimenticata il telefono acceso, così al posto del mio commento m’hanno solo sentita gridare come una pazza finché s’è scaricata la batteria. Ho vissuto quell’esperienza intensamente e ne sono tutt’ora ancora emozionata al solo parlarne. Non credo per ora che potrà ripetersi sul ghiaccio: c’è troppa differenza di livello. Con l’in-line, se i ragazzi ai World Games (i Giochi degli sport non olimpici ndr) riusciranno nell’impresa alla prossima edizione, sarà invece un’opportunità raggiungibile.

Oltre ai Giochi hai partecipato a 4 mondiali (2003, 2004, 2005 e 2008). Quest’anno sei stata convocata per i mondiali di “casa tua” a Torre Pellice ma ha fatto scalpore la tua “fuga” con la tua compagna “storica” Traversa dal raduno. Fortunatamente l’inchiesta federale s’è conclusa con soli 3 mesi di squalifica. Cosa è successo? Lo rifaresti? Intendi “riappacificarti” con Liberatore e lo staff?

Han dato tre mesi perché in parte ci han dato l’opportunità di spiegare le nostre motivazioni capendoci. Chiaramente si andava contro un regolamento e quindi il gesto era da punire, ma hanno alleviato la pena il più possibile anche per non ledere un movimento già di per sé sgangherato come il nostro.
Con lo staff ho dato e spiegato molto bene le mie argomentazioni quando era il momento e non intendo tornare con loro sull’argomento perché non cambierei neanche una virgola su alcun fronte. Io ho una visione dello sport estremamente seria, che premia il lavoro, l’impegno, la serietà e il sottostare alle regole: lo sport insomma. In cambio di questo ci va altrettanta serietà, onestà e rispetto, soprattutto quando in cambio non c’è professionismo, e quindi soldi, ma passione e amore per questo sport.
Ultimamente l’hockey su ghiaccio femminile ha perso un po’ di vista questi valori che erano invece vigenti all’epoca in cui a dirigere era un personaggio sì severo, Sparer, ma giusto. In Nazionale adesso si va senza fare particolari sacrifici, allenarsi sodo, dedicare 12 mesi l’anno alla preparazione, ecc.. Ora si va perché siamo 3 squadre e tutte le giocatrici più o meno forti sono convocate per forza di cose.
Questo già di per sé non mi piace, ma da un lato ha  fatto comodo anche a me visto che, data la mia preparazione inevitabilmente diversa da quella degli anni addietro, mi ha dato la possibilità di poter partecipare ai ritiri.
Però il resto è stato ingiusto, e in particolar modo ho trovato pessima la gestione della scelta portieri. Il resto più o meno è già stato detto e non voglio tornare sull’argomento. Non voglio nemmeno prendermela con una mia compagna più giovane che ha un atteggiamento diverso dal mio, me la prendo come ho fatto allora con chi ha il compito di gestire certe personalità.
In futuro non vestirò più la maglia azzurra perché ritengo che serva più preparazione di quella che posso dedicarvi, e auguro a chi lo farà che gli venga data l’opportunità di viverla seriamente, poiché è l’unica occasione che abbiamo di vivere nel nostro sport alcuni giorni da professioniste. Ma per far questo bisogna meritarselo un pò di più, a patto che l’impegno venga contraccambiato con un doveroso rispetto.

E’ sicuramente presto per parlare del campionato italiano. Sai qualcosa riguardo a cosa farete l’anno prossimo? Diamo per scontato che tu sarai ancora sui pattini.

Stiamo definendo la situazione ma con molta probabilità ci accaseremo al Real Torino che si è unito con i Draghi Torino. Sarà una buona opportunità per far qualcosa affinché l’hockey femminile in Piemonte possa avere un futuro. Ho sentito parlare per il campionato di un interessamento da parte dell’Appiano e dell’Asiago, ma onestamente non so niente si certo. Spero da parte nostra di poter continuare a partecipare al Championnat Française Élite, che è stato una bellissima esperienza lo scorso anno.

Quanto può servire un’esperienza del genere per le All Stars nel campionato francese? Hanno anche loro poche squadre e molti problemi. Cosa hai notato di diverso rispetto al nostro movimento?

Il vero piacere non è tanto nel fatto che possa servire quanto nel fatto che sia senz’altro stimolante incontrare avversarie diverse dal solito, perché inizia a essere un po’ monotono giocare sempre contro le stesse Agordo e Bolzano. Inoltre sono squadre di buon livello, e c’è molta competizione perché c’è sempre molta rivalità tra Francia e Italia, anche tra club. Questo fa sì che siano sempre belle partite.
Anche il movimento francese è un po’ patito negli ultimi anni e, dati i risultati in campo internazionale, sta subendo un po’ una batosta. Però è comunque di buon livello e noi ci siamo divertite molto lo scorso anno, per questo vorrei poter ripetere l’esperienza.

Hai mai pensato di giocare in una squadra straniera?

Sì ma alla mia età e con la famiglia non posso più permettermi di pensare a una stagione all’estero non retribuita. Certo che se qualcuno mi offrisse almeno un rimborso spese partirei oggi stesso… Sul dove non ne ho idea perché non ho mai avuto l’opportunità di provare. Magari nel Nord Europa.

Tra i due litiganti il terzo gode, si dice. Bolzano e Agordo da una decade si dividono il bottino, quando arriverà il turno del Piemonte? Cosa vi manca per raggiungere il traguardo?

Arriverà quest’anno, questo almeno è il nostro obiettivo di questa stagione. Ci chiameremo Real Torino e dovremmo avere in forza qualche atleta in più e una società seria alle spalle che ci permetterà di allenarci bene, quindi è ora…
Non ci manca niente e lo scorso anno l’abbiamo dimostrato; dobbiamo imparare a vincere perché abbiamo davvero difficoltà a segnare ed essere lucide davanti al portiere. Ma se è vero che è una cosa che si impara, quest’anno al Real sarà determinante Zurek o chi ci allenerà che avrà questo compito. Normalmente hanno l’abilità per far questo.

Sei tifosa di qualche squadra hockeistica e non? Hai un tuo beniamino?

In realtà amo lo sport e chi si dedica ad esso con passione. Lo guardo con piacere in quasi tutte le discipline ma, a parte le Nazionali in cui stratifo Italia in ogni sport, non ho preferenze.
Vivo a Torre Pellice e quindi se nell’hockey devo scegliere, ho un po’ più a cuore la Valpe.
Detesto le tifoserie organizzate di ogni sport, io sono una di quelle persone che ama guardarsi le partite in silenzio… e non ama i commenti, specie i giudizi negativi dagli spalti.

Mamma di una bambina (Anne, 2 anni), non hai resistito al richiamo del ghiaccio e sei tornata a giocare a differenza di tante atlete che hanno mollato per ritirarsi a vita privata. Come fai a conciliare studio, lavoro, ruolo di mamma e hockey?

Ho ripreso a giocare subito perchè ho partorito a 26 anni e mezzo, quindi ho avuto il tempo di rimettermi in carreggiata. Forse avessi avuto qualche anno in più avrei fatto più fatica. Anne mi segue il più possibile nelle trasferte e ai mondiali di in-line ha fatto già il tifo dagli spalti.
Amo fare molte cose insieme e non vedo la mia vita senza tutti i miei impegni; da quando c’è Anne non riesco più a conciliare solo lo studio e il lavoro tanto che dal prossimo mese per potermi laureare interromperò per un periodo il lavoro.
Mi spiace molto per quelle atlete che hanno smesso dopo il figlio ma forse avevano altri motivi e impegni, perchè per me è stato del tutto naturale tornare in porta. Credo che l’età, ripeto, sia importante.

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