Laura Trespioli – Viaggio nel paradiso svedese

Laura Trespioli – Viaggio nel paradiso svedese

di Marco Depaoli

A volte accade che si abbia la fortuna di mettere il naso fuori dai nostri confini, e conoscere realtà sportive laddove lo sport minore non è considerato tale, rimanerne estasiati e soprattutto crescere sportivamente.
In un momento non facile per il movimento rosa c’è chi ha calcato i ghiacci svizzeri, chi quelli austriaci, chi, come Laura Trespioli, quelli svedesi.
Laura Trespioli, 28enne nativa di Novi Ligure (AL) ha iniziato con l’Inline per poi innamorarsi del ghiaccio nel ’99 con i Giugoma di Torino. Nel 2002 entra far parte delle All Stars Piemonte fino al 2006 periodo durante il quale arriva anche la chiamata in nazionale. Per motivi di lavoro inizia il viaggio itinerante da Roma a Stoccolma, dove comincia l’attività con la Göta-Tranebrg IK in Divisione 2.

HT: Come hai avuto l’opportunità di questa esperienza?
LT: Cercando una squadra per il periodo durante il quale sarei stata qui in Svezia. Fortuna vuole che cercando su internet mi è capitata una squadra con un solo portiere e mentre ero ancora in Italia ero già stata assoldata come portiere di riserva. Prima del campionato abbiamo giocato un torneo di 6 partite: la seconda partita è toccata a me e da quella son rimasta nella gabbia per tutto il torneo facendoci guadagnare il primo posto e soprattutto la fiducia del coach. Durante il campionato (concluso con la promozione in Div 1, ndr) mi ha messo in pista per 13 partite, quasi la metà.

HT: Inutile dire che ci sono differenze abissali tra le due realtà, quella svedese e quella italiana. Cosa hai trovato che non ti aspettavi nemmeno?
LT: In realtà le cose più banali: la semplicità nell’organizzazione. In termini pratici durante la partita: niente riscaldamento su ghiaccio prima dell’incontro; l’arbitro non fischia se il portiere viene colpito al casco (involontariamente) dal disco; l’arbitro è intoccabile anche a parole, pena espulsione dalla pista. Per quanto rigurda l’organizzazione del torneo: le trasferte più lunghe venivano fatte fare nei week-end, mentre quelle infrasettimanali erano le più corte per tutte le partecipanti.

HT: Cosa ti ha entusiasmato di più?
LT: Il livello di gioco alto e più o meno omogeneo in tutte le squadre; c’è poi una buona dose di durezza, anche se molto corretta. Buona parte delle cariche in Italia verrebbero fischiate.

HT: Com’è il movimento femminile in Svezia?
LT: Io direi abbastanza sviluppato: solo nei dintorni di Stoccolma ci son 23 squadre.

HT: Nella società svedese c’è lo stesso pregiudizio che c’è in Italia sulle ragazze che giocano a hockey?
LT: Direi di no: se sei brava giochi. Non per niente la Wickenheiser avrebbe dovuto firmare con un Team maschile proprio qui in Svezia.

HT: Cosa hanno lasciato le Olimpiadi al movimento nazionale femminile italiano? Doveva essere un punto di partenza ma sembra che sia stato invece un punto di arrivo.
LT: Beh, purtroppo ero presente ai vari raduni prima delle olimpiadi: devo dire che già avevo intuito l’andazzo. Non esisteva nessun programma per il dopo Olimpiadi, se non un flebile tentativo di metter su una nazionale Under 20 femminile. Poi ovviamente essendo la nazionale femminile simile ad un società segreta, ora nessuno sa più niente, io nemmeno sapevo che Marco Liberatore fosse il nuovo coach. Ovvio che qualcosa non va…

HT: Quest’anno il campionato nazionale s’è ridotto a 3 squadre, con la chiusura addirittura di una formazione storica come il Como. Come ti spieghi questa moria di praticanti e squadre?
LT: Il Como era già stato salvato una volta dai coniugi Traversa molto conosciuti nell’hockey piemontese. Molto probabilmente non sono riusciti a portare avanti quella realtà oltre alle altre che già gestivano, e nessuno se l’è sentita di prendere l’impegno. Poi credo che anche se solo a 3-4 squadre sia un campionato molto impegnativo sia economicamente che in termini di tempo: le nostre giocatrici son tutte studentesse o lavoratrici, passare i weekend in bus e tornare magari il lunedì mattina alle 6 non aiuta per niente. Qui basti pensare che in Svezia la trasferta più lontana è a un ora e mezza di viaggio. Credo che una soluzione sarebbe permettere alle donne di giocare nel campionato under 16 o nella serie C con i ragazzi, e fare poi un campionato femminile a due concentramenti, solo ed esclusivamente per potersi permettere poi una nazionale.

HT: Quel sarà il tuo futuro?
LT: Bella domanda! Vorrei saperlo pure io. In realtà il mio lavoro mi fa girare parecchio. Spero di rimanere qui anche per la prossima stagione o magari di più. La cosa positiva del mio lavoro è che la nazione in cui è più richiesta la mia professionalità è il Canada… chissà?…

Un grazie a Laura per la disponibilità

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