Martin Pavlu: una vita nelle Volpi

Martin Pavlu: una vita nelle Volpi

Ha iniziato la sua straordinaria carriera nell’anno sportivo 1976/77 con il Latemar HC e si è ritirato alla fine dell’annata 2003/04 dopo una serie infinita di incontri principalmente con la maglia dell’HC Bolzano, suo team storico.
Una carriera sportiva impareggiabile costituita anche da varie edizioni dell’Alpenliga, campionati mondiali e ed Olimpiadi. Parlare con Martin Pavlu vuol dire ripercorrere 26 anni di storia visti dal ghiaccio.

HockeyTime: Di che cosa ti occupi adesso?

Martin Pavlu: Lavoro per la Bignami S.p.A. società conosciuta per la vendita all’ingrosso di armi (fucili da caccia e sportivi, pistole, coltelli e ottiche) dove sono il responsabile degli acquisti – vendite per tutto ciò che riguarda prodotti Easton per l’hockey sul ghiaccio ed il Baseball.
In più dall’anno scorso faccio l’opinionista per Sky durante le riprese del campionato di hockey.

HT: Sei sempre all’interno dell’ambiente dunque. Non hai altri impegni diretti con l’hockey?

MP: Si, sono anche consigliere della F.I.S.G., nella consulta hockey e perciò sono il referente per la C UN26.

HT: E com’è stato il passaggio da giocatore a dirigente / responsabile?

MP: Direi non facile, anche perché pensi sempre ancora da giocatore e vorresti che le cose si decidessero più concretamente e soprattutto più in fretta con una visione che vada aldilà di una stagione. Certe volte passa troppo tempo e non si viene a capo di molto. Il movimento avrebbe bisogno di riorganizzarsi e di gente che lavora a tempo pieno per migliorare tutto l’hockey italiano, negli ultimi anni per esempio abbiamo perso molti tifosi. L’anno scorso ho potuto girare molto ma l’affluenza, perciò clienti, è stata molto al di sotto di quello che il movimento avrebbe bisogno.

HT: Vorrei parlare brevemente della tua carriera iniziata con il Latemar – in serie B – per poi approdare alla tua “vera” squadra, il Bolzano.
Quanto è stato importante per te avere la possibilità di giocare insieme a tuo padre, Jaroslav Pavlu, nazionale cecoslovacco ?

MP: Grazie a mio padre io facevo parte di quella squadra già da anni, conoscevo tutti i giocatori, mi allenavo con loro in estate quando mio padre li allenava e per me era una cosa normale andare a giocare a un certo punto con loro in serie A. Sono stato fortunato a potere cominciare a giocare con giocatori cosi bravi e con un carattere vincente, cosa non da poco. In serie B con il Latemar ho giocato un solo anno quando avevo 14 anni. Diciamo che giocare con mio padre era facile da una parte, perché avevamo lo stesso modo di interpretare il gioco, difficile dall’altra, perché lui andava più forte di me.

HT: Quindi possiamo dire che tuo padre è stato un tuo grande allenatore ed oltre a lui quale altro coach ricordi per quanto è riuscito a darti, dal punto di vista atletico e psicologico?

MP: Direi che due allenatori mi hanno dato qualcosa da ricordare. Uno è Bob Manno che non aveva una grande preparazione dal punto di vista tecnico, era un tradizionalista vecchia scuola, ma aveva un enorme carisma e voglia di vincere che trasmetteva su tutta la squadra praticamente era come se giocasse con noi, mi ricordo le finali con il Varese dove è sceso sul ghiaccio con le scarpe e ne ha cantato quattro a Paul Theriault, umiliandolo davanti ai suoi giocatori.
L’altro è stato Brian Lefley, che mi ha dato la possibilità di ritornare in nazionale dopo la mia “fuga” sotto la gestione di Gene Ubriaco. Lefley è stato l’allenatore che è riuscito a cambiare i modo di allenare in Italia di allora. Aveva uno staff completo non lasciava nulla al caso, tutto era sotto controllo e faceva di tutto perché i giocatori da lui scelti si sentissero importanti e a loro agio. Come uomo, un vero signore e disponibile, grande conoscitore del hockey e psicologo.

HT: Già la nazionale, tu hai fatto parte di quel “blue team” che portò l’Italia molto in alto, pensi che quella nazionale potesse dare ancora qualcosa oppure era arrivata al suo massimo splendore?

MP: Credo che quella nazionale ha fatto molto di più di quello che si potesse mai immaginare, è stata la classica convergenza di molti fattori importanti che andavano insieme come un puzzle. Un gruppo di uomini maturi che voleva dimostrare ancora qualcosa. L’età media non era molto bassa ma tutti erano consapevoli dei loro compiti e ruoli all’interno della squadra, poi c’era sempre un nucleo che aveva giocato insieme anche in squadra di club, insomma c’erano sempre molti giocatori che avevano giocato in tempi diversi magari nel Bolzano di allora. (Orlando, Zarrillo, Oberrrauch, Topatigh, Rosati, Pavlu, Beattie, Di Gaetano, Brunner…). Poi c’erano dei giocatori che facevano parte di questo gruppo come Chitarroni, Circelli, De Angelis, Delfino, Figliuzzi, Mansi sempre gli stessi e perciò anche la formazione di un gruppo era facilitata.

HT: Erano gli anni del grande Bolzano, ora però la situazione è molto differente e non solo dal punto di vista dei risultati agonistici; perché secondo te l’interesse per l’hockey a Bolzano è così calato?

MP: Credo che l’interesse generale per l’hockey sia cambiato, c’è poca gente ovunque e manca l’entusiasmo che riempiva gli stadi, non saprei cosa fare o per cambiare questa situazione negativa, certamente servirebbe un piano ma non solo per un anno ma molto di più. Per quello che riguarda il Bolzano, posso dire che ci sono molti motivi che hanno portato a questo disinteresse: lo stadio non proprio adatto, troppo grande e dispersivo senza un luogo di ritrovo (Bar, ristorante…) troppo lontano dalla città – paese dove tutti sono abituati ad avere tutto nel giro di pochi metri non come in una grande città dove tutto comunque è lontano ed è normale fare molta strada, la mancanza di talenti a Bolzano, che ormai da anni non riesce a creare dei giocatori che ti possano far fare la differenza, l’ultima buttata è stata quella dei Timpone, De Mio, Zingerle, Alderucci molti troppi anni fa, poi per fortuna l’Ev Bozen ha dato a tre giocatori come Walcher, Zisser e Egger la possibilità di giocare con il Bolzano anche se quest’ultimo da due anni gioca a Renon. C’è certamente la mancanza di giocatori carismatici che giochino per più anni con la squadra e coi quali i tifosi si possano identificare. I tempi sono cambiati ma l’hockey in generale è rimasto fermo, questo però vale per tutto il movimento.

HT: Parlando di nuove leve c’è qualcun che ti ricorda il Pavlu giovane?

MP: Si, mio figlio, ha 12 anni e sembra me da piccolo, ha lo stesso pattinaggio e a volte mi viene da ridere quando lo vedo, è ancora giovane e la strada è molto lunga ma chissà.
Altri giovani interessanti non ne ho visti ancora, però ci sono alcuni ragazzi che vengono su bene delle annate 88 e 89, anche qui c’è bisogno di pazienza prima di esprimersi. La speranza è che vengano seguiti e utilizzati con saggezza e che trovino il posto per giocare quando è l’ora. Purtroppo abbiamo oggi 5 stranieri in A2, una follia secondo me e ancora peggio che la gran parte dei portieri sia straniera, questa è una scelta autolesionista. Nel panorama hockeystico non abbiamo portieri nostrani ormai, l’anno scorso quando si infortunò Hell c’era il panico. Adesso che Muzzatti non c’è più Hell è praticamente l’unico portiere che abbiamo. La storia di Tragust ci insegna che i talenti non ci mancano e io mi auguro che il ragazzo ce la faccia ad aprire questa porta cosi importante e di essere da esempio per tutto il movimento. L’Italia è una delle poche nazioni nel panorama hockeystico internazionale che non ha ancora un giocatore che sia stato draftato in NHL.

HT: Tu hai avuto una carriera lunghissima e hai quindi incontrato un’enorme quantità di giocatori sia come compagni della tua avventura che come avversari sul ghiaccio, ti chiedo quindi se puoi indicarmi il giocatore che più ti ha impressionato ed il miglior portiere avversario.

MP: Il portiere senza dubbio Jim Corsi, per il giocatore è molto più difficile.
Rudi Hiti era il mio idolo a Bolzano quando ero giovane, un giocatore con una tecnica sopraffina, classe immensa. Ron Chipperfield era il migliore davanti al portiere, dribblava, dribblava e tutti stavano a guardare. Kent Nilsson era il più straordinario come potenza esplosiva, visione di gioco e astuzia, un talento. Jagr, il modello di giocatore di oggi, potente, bravo negli angoli e nel tiro di polso, una vera forza della natura difficilissimo toglierli il disco. Igor Maslennikov, il migliore centro con il quale io abbia mai giocato, sapeva fare tutto, passare, driblare, segnare, visione di gioco e infine Sergei Vostrikov giocatore che non si faceva pregare due volte quando c’era bisogno di un gol.
Un particolare importante di tutti questi uomini: ognuno di loro veniva a competere ogni volta che scendeva sul ghiaccio.
Tutti loro avevano o hanno qualcosa di più, il migliore: per i nostri giorni certamente Jagr.

HT: E in tutta la tua carriera qual è stato l’episodio più spiacevole che cancelleresti o che comunque vorresti cambiare?

MP: Credo che episodi spiacevoli e delusioni fanno parte di una carriera, certamente se si potesse tornare indietro vorrei cancellare alcune sconfitte che abbiamo patito come per esempio quella con il Varese o con il Merano in finale scudetto ma d’altro canto abbiamo vinto anche dei campionati con un pizzico di fortuna e perciò da quel lato è difficile cancellare un episodio. Se però si potesse fare, cancellerei l’incidente che è occorso a Markus Brunner quando ero assistente allenatore a Merano due anni fa quando perse l’occhio.

HT: Si davvero un brutto incidente… hai citato Merano, moltissimi tifosi si chiedono il motivo della tua partenza dal Bolzano in direzione degli “odiati” avversari (sportivi)…

MP: E’ una domanda alla quale ho risposto sempre con molto rammarico, non vorrei ritornare su quell’episodio, sono ormai passati tre anni, ma credo che manca, senza false modestie, una persona come me all’HCB e non solo io ma magari anche qualche altro mio ex compagno di squadra, perché l’esperienza che possono avere gli ex giocatori è una cosa che non si può trovare cosi facilmente. Credo anche che in generale troppo pochi ex sono presenti nelle società di hockey in Italia.

HT: Da parte nostra un grazie ed un caldo benvenuto nel “team” di HockeyTime.net

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