Bolognini: «Abbiamo ottenuto tanto con poco»

Bolognini: «Abbiamo ottenuto tanto con poco»

da “La Padania” del 9 marzo 2006 (versione integrale)

di Marco Depaoli

Ad ogni Olimpiade (estiva e invernale) l’Italia “si desta” e con stupore scopre che lo Sport non si gioca solo con attrezzi sferici. Ogni 2 anni si commenta il medagliere, ci si sente orgogliosi di un gran numero di medaglie, ottenuti non con lo sport che ferma il Paese (che non ottiene nulla dal 1982) ma in discipline che portano l’uomo medio a dire "tho, ma esistiamo anche in questa non meglio identificata disciplina?". Torino 2006, poi, ha lasciato tutti di… ghiaccio: zero medaglie per lo sci alpino, 4 per quello nordico, 3 per bob e slittino e ben 4 per le discipline del ghiaccio, un vero e proprio miracolo sportivo. Pensiamo all’Italia, o meglio dire alla Padania del curling (500 praticanti su un numero di piste che si contano sulle dita di una mano) che ha messo in ginocchio il Canada, quasi tre milioni di atleti su 25 milioni di abitanti. Dopo lo spegnimento della fiamma olimpica le (poche) piste del ghiaccio sono state invase e la richiesta ha saturato la disponibilità di ore, mentre persino l’interessamento per le “bocce su ghiaccio” va oltre ogni aspettativa. Ma è difficile essere ottimisti, visti i limiti infrastutturali e di mentalità che ha questo Paese, che concentra la possibilità di schettinare sul ghiaccio quasi esclusivamente in Padania. Non è ottimista nemmeno il Presidente della Fisg (Federazione Italiana Sport su ghiaccio), Giancarlo Bolognini, in carica dal 7 giugno 1997, rovigotto di nascita e bolzanino da una vita: «Gli sport del ghiaccio rimangono sport di nicchia nella nostra realtà sportiva. Non aspiriamo a divenire più grandi di quello che siamo, quantitativamente e come capacità di attrarre attenzioni economiche, fatto rilevante per qualsiasi attività. Abbiamo ottenuto risultati importanti frutto di un gran lavoro compiuto da società e atleti».

Ora sembra che tutti si siano accorti che esistono anche gli sport del ghiaccio. Pare che si sia anche creato quasi dal nulla il fenomeno curling, disciplina ignorata da tutti e che dopo i giochi ha fatto incuriosire tutto il Paese. Sembra che l’interesse per praticarlo attivamente vada oltre le aspettative. Sarà un fuoco di paglia, una moda tipicamente italiana che svanirà o si muoveranno veramente le masse verso un po’ tutte le discipline del ghiaccio?

«Non sono mai così convinto che la nostra società sia capace di produrre con continuità nel tempo la ripetizione dei falsi entusiasmi che invece con facilità riesce a produrre. Per fare sport del ghiaccio ci vogliono impianti di ghiaccio artificiale, sono impianti complessi, costosi con oneri di gestione elevati per cui non ritengo che sarà possibile avere una storia nel prossimo futuro di grandi masse di praticanti. Certamente siamo impegnati come federazione a cercare di raccogliere l’onda di questi importanti risultati sportivi e dell’immagine che ne è derivata, per conquistare attenzioni da parte degli enti locali, di iniziative private, per cercare di realizzare soprattutto nella zona pedemontana delle Alpi e in altri centri del Paese piste di ghiaccio artificiale che possono permettere di diffondere ulteriormente la pratica di questi sport. In questi giorni ho un incontro con il sindaco di Roma, abbiamo contatti avviati con l’amministrazione comunale di Parma, ad esempio, poi dovremmo preoccuparci di capire in Piemonte quale utilizzo più estensivo possibile sarà prevedebile e programmabile per gli impianti di ghiaccio che rimangono dopo l’esperienza olimpica. Ci sono notizie che giungono dal Veneto, dall’Emilia di interessi per eventuali realizzazioni di impianti di ghiaccio artificiale. Stiamo un attimo “soffrendo” sotto il peso delle richieste di dati e notizie. Cerchiamo di far fronte nel miglior modo possibile. È cominciato un periodo difficile, nel quale cercheremo di utilizzare al meglio l’immagine che i grandi risultati sportivi ci hanno offerto e possibili interessi che enti locali e iniziative private posso esprimere in favore dei nuovi impianti del ghiaccio artificiale nel nostro Paese».

Quanti praticanti si dedicano alle discipline del ghiaccio? Rispetto agli ultimi anni c’è un aumento o una diminuzione dei tesseramenti?

«Siamo sui 14.000 tesserati circa. Una situazione abbastanza stazionaria, abbiamo avuto qualche flessione anni fa per due motivi sostanzialmente: uno legato al fatto che abbiamo condotto una specie di operazione di pulizia interna nel tesseramento, eliminando qualche ripetizione di atleti che praticavano due specialità; l’altra dovuta alla crisi economica del Coni e conseguente difficoltà in cui si sono trovate le varie federazioni, compresa la nostra, ci hanno costretti a qualche ridimensionamento che certamente non hanno agevolato la capacità di attrarre nuove leve. Non siamo ancora nelle condizioni di capire se questa olimpiade porterà un afflusso di nuova linfa al parco atleti affiliato alla federazione. Certo è che il primo dato base a cui ci si deve riferire è rappresentato dall’esistenza o meno degli impianti di ghiaccio artificiale sul territorio, perché con la loro assenza anche l’interesse più convinto e caloroso verso gli sport del ghiaccio in breve tempo viene riassorbito. Siamo consapevoli peraltro che per realizzare un impianto di ghiaccio artificiale non bastano 6 mesi. I nostri sport purtroppo sono da questo punto di vista complessi, non basta un terreno spianato, magliette, pantaloncini, scarpette da ginnastica per cominciare a fare questi sport. Occorrono purtroppo condizioni particolari. L’Italia geograficamente si trova in una certa zona del nostro pianeta e da qui di traggono ovvie considerazioni».

Da ormai alcuni anni la federazione internazionale di hockey chiede che ogni nazione si adegui a formare una federazione apposita solo per l’hockey. L’ultimatum sarebbe scaduto, come stanno le cose?

«La Fisg non è stata caricata della responsabilità di gestire l’hockey su ghiaccio in Italia da parte della federazione internazionale, ma dal Coni. La Iihf secondo me commette un’illegittimità nel momento in cui esplicita una pretesa di questo genere. Esistono fior di federazioni internazionali che sono pluridisciplinari: a cominciare dall’Isu che ospita la velocità e il pattinaggio di figura assieme. In Italia esistono fior di federazioni pluridisciplinari: a cominciare dalla la Fisi, l’atletica leggera, il nuoto… Sarà il Coni a dover decidere se far osservare alla federazione internazionale che non è sua competenza entrare nel merito dell’organizzazione sportiva dei singoli comitati olimpici nazionali all’interno dei diversi paesi o se sostanzialmente accettare una condizione conseguente a questo tipo di decisione che non porterebbe alcuna modifica sostanziale del sistema dell’hockey su ghiaccio nel nostro Paese in quanto questi provvedimenti della Iihf semplicemente priverebbero la federazione italiana della possibilità di partecipare alla votazione per eleggere il presidente della federazione internazionale stessa. Qualsiasi altro evento inerente all’attività internazionale hockey su ghiaccio rimane inalterato e l’hockey su ghiaccio in Italia si continuerebbe a gestire in maniera assolutamente normale, Un’unica considerazione che mi rimane da fare è che appare ovvio a chi osservi la questione con occhio attento, interessato, cercando di ragionare con corretta attenzione è che l’aver una stessa federazione con più discipline sportive, legate agli sport su ghiaccio in un paese dove la presenza e lo spessore del ghiaccio artificiale è così esosa e importante sotto il profilo quantitativo rappresenta una condizione sostanzialmente positiva per l’hockey su ghiaccio. Il costituirsi federazione autonoma con il numero esiguo di società praticanti l’hockey in Italia, potrebbe rappresentare una condizione assolutamente negativa. Io ho difeso con ogni energia il futuro dell’hockey su ghiaccio italiano. Ritengo che la sua collocazione più opportuna sia all’interno della federazione in Italia assieme agli altri sport su ghiaccio. Non spetta alla federazione decidere quali possono essere gli atteggiamenti da assumere nei confronti della federazione internazionale ma la decisione spetta al Coni perché è il Coni che a suo tempo decretato la nascita di questa federazione con queste caratteristiche che ne garantisce la sua organizzazione attraverso formule ben precise di normativa. Tutto questo nel rispetto di norme dello Stato italiano che secondo me non possono essere così manomesse perché una federazione internazionale così decide. Federazione internazionale che tra l’altro, detto tra di noi, pluridisciplinare perché oltre l’hockey su ghiaccio comprende anche l’Inline».

Olimpiadi a parte, durante l’anno gli sport che vergognosamente vengono definiti “minori” (tra cui quelli del ghiaccio), hanno spazio quasi pari a zero sulle grandi emittenti in chiaro (Rai e Mediaset), e una persona qualunque senza satellite che accende il televisore non riesce a vedere altro che calcio, motori e ciclismo.

«Perché ogni volta che noi riusciamo ad approdare in televisione dobbiamo pagare. Il costo delle presenze in televisione rappresenta per la federazione e per le società che operano nel settore un’alternativa molto precisa: o si fa sport praticato, e lo si fa fare ai nostri giovani, oppure si riduce a pochissime unità operanti e si paga la presenza sulle emittenti televisive private e pubbliche. Purtroppo il nostro è un Paese dove la linea dominante di cultura sportiva è quella che è. E per gli sport di nicchia la possibilità di emergere con una presenza almeno accettabile da parte della gente è assolutamente modesta. Abbiamo stipulato dei contratti con Sky, con delle radio private per le cronache di “tutto l’hockey minuto per minuto” (tra cui Radio Padania Libera ndr) e delle iniziative con delle emittenti locali per delle rubriche settimanali all’interno di contenitori sportivi. Rimane il problema dei costi, che sono elevati. Per l’hockey su ghiaccio è anche più facile trovare degli sponsor che aiutino a coprire le spese, per gli altri sport del ghiaccio come la velocità, la figura ecc… non ci sono molte aziende legate al movimento interessate alla promozione dei propri prodotti, come possono essere i pattini e il vestiario. Ci sono sicuramente pochi ritorni di immagine, conseguenza della cultura sportiva italiana tutta indirizzata in un solo senso. Rimane l’amarezza per la grossa difficoltà degli sport minori, che sono quelli che impinguano il medagliere, per ritagliarsi il loro giusto spazio nel nostro Paese». Toglietevi dalla testa le aste televisive sui diritti del Calcio o della Formula uno. Delle emittenti che pur di avere i diritti di trasmissione o cronaca del campionato pallonaro sono capaci di svenarsi e offrire alla Lega Calcio cifre folli. Per gli altri sport è il contrario. È un’amarezza diffusa per un po’ tutte le discipline, non solo del ghiaccio, costrette a caricarsi sulle spalle tutte le spese di produzione. Vanno prodotte le immagini e comprare spazi in televisione. Pensiamo al pattinaggio di velocità, (che tanto ha inorgoglito l’Italia con le 4 medaglie di Fabris, Anesi, Donagrandi, Sanfratello, Ioriatti, Capurso, Fontana, Mara e Katia Zini ndr) che ha 1.100 tesserati e solo due piste per allenarsi e gareggiare: Baselga di Piné (Tn) e Collalbo (Bz). Per registrare una manifestazione di 2 ore ci vogliono dai 2.500 ai 3.500 euro, da dividere per le società. Per l’hockey per fortuna è un po’ meglio: con anni di faticoso lavoro di sponsor si è riusciti a trasmettere una partita alla settimana con la piattaforma Sky, operazione costata in ogni caso 100.000 euro. La Rai per “problemi” di palinsesto avrebbe potuto trasmettere delle differite 4/5 giorni dopo magari alle 10-12 del mattino, capite che ha un rilievo diverso se trasmesso invece 1-2 giorni dopo con buoni orari».

Ci sono state ondate di critiche (via mail e sul blog della Rai) per come la tv di Stato ha gestito la trasmissione delle gare olimpiche. Mentre tutto il Pianeta era sintonizzato con Torino per la finale di hockey ghiaccio, che sta alle olimpiadi invernali come la maratona sta a quelle estive, nel nostro Paese abbiamo dovuto attendere la differita, per dar spazio a Quelli che il calcio.

«Quando leggo Maffei (direttore di raisport ndr) parlare di “delusione dell’hockey su ghiaccio” quando partite importanti (trasmesse a spizzichi e bocconi ndr) vengono trasmesse in contemporanea con la Juve in Coppa dei Campioni… è difficile pretendere che l’attenzione per l’hockey superi quella del calcio. Il Curling per esempio è stato spalmato lungo tutto l’arco della giornata, e riesce così ad attrarre di più l’attenzione della gente. Curling che è uno sport dal punto di vista televisivo più semplice da “vendere”. Giornalisti sbrigativi poi nel valutare espressioni e dati ha fatto il resto. Ringraziamo le testate come la Padania, che segue il nostro modo di lavorare, impostato sulla base della serietà, rappresentativo dell’Italia per bene, dello sport acqua e sapone».

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