Jason Jennings, “lo Sceriffo” come veniva chiamato dai suoi tifosi, è stato uno degli stranieri che ha caratterizzato la scena italiana sul finire degli anni ’90. Canadese di Vancouver, attaccante, nato il 16 marzo 1971, Jennings, dopo essere cresciuto nella BCHL, con i Richmond Sockeyes, si è formato alla Western Michigan University (NCAA), dove dal 1989 al 1993 ha giocato complessivamente 142 partite con 32 goal e 38 assist. Draftato dai Winnipeg Jets nel 1991 (225° complessivo), ha esordito tra i pro in ECHL con la maglia dei Raleigh Icecaps (solo 2 partite) per passare poi ai Johnstown Chiefs, dove si è messo in luce realizzando 19 goal e 26 assist in 44 partite. Confermato dai Chiefs, nel 94/95 ha chiuso la stagione con 23 goal e 31 assist in 67 partite. Dal 1995, a parte una parentesi nei Corpus Christi Icerays, della disciolta WPHL, si è trasferito in pianta stabile in Europa. Prima tappa l’Inghilterra e precisamente i Milton Keynes Kings della BNL: 44 goal e 40 assist, in 38 partite il suo bottino finale che gli consente di ottenere un ingaggio con lo Straubing in 1.Liga Süd (7 partite, 2 goal e 3 assist) prima di passare ai Nottingham Panthers in BISL, con cui gioca 24 partite realizzando 7 goal e fornendo 11 assist, cui vanno aggiunti 2 goal e 7 assist nei playoff. Nel 1997 arriva in Italia, a Renon in Serie A per sostituire il deludente Dusan Halloun, autore in precedenza di tre ottime stagioni a Zoldo. Disputa 27 partite con 27 goal e 34 assist, risultando alla fine il terzo realizzatore della squadra dietro a Todd Goodwin (59+37 in 42 partite) e Derry Menard (17+55 in 49). “Renon è un posto meraviglioso per giocare ad hockey – ricorda Jennings – ho trovato persone meravigliose che mi hanno sempre trattato in modo splendido”. Nel 1998 la chiamata del Merano, a campionato in corso, per completare un organico che si sarebbe poi aggiudicato il Campionato Italiano. In squadra c’erano giocatori fenomenali come Gogolev, Volkov, Torkki, Laplante, McColgan, Duthie, sulla panca l’ex stella NHL Myroslav Frycer, Jennings gioca solo 16 partite, contraddistinte da 3 goal e 3 assist, ma ricorda quel successo con molto piacere “Avevamo una squadra con molto talento. Tutto è stato davvero speciale. Vincere il campionato penso sia stata la più bella esperienza della mia carriera”. Le regole del campionato 1999-00 con un solo transfer per squadra lo allontanano dall’Italia, ma solo per qualche mese. Viene infatti chiamato dal Milano in occasione del girone di Continental Cup, insieme a Jari Torkki e Gary Ricciardi. Lo staff della Saima lo conferma per il resto della stagione e disputa con la squadra la controversa Coppa Italo-Francese. “A Milano ho avuto modo di giocare in una squadra molto forte, ho avuto un ottimo rapporto con coach Zanatta. Complessivamente i miei 3 anni in Italia sono stati molto positivi, ho trovato persone capaci e non ho alcun rimpianto o rimprovero a riguardo”. Chiusa la parentesi italiana, il ritorno in Inghilterra, ai Guildford Flames in BNL. “E’ abbastanza difficile fare un confronto tra il campionato inglese e quello italiano, per il semplice motivo che in 3 stagioni in Italia ho trovato tre diverse regolamentazioni sugli stranieri. Quando ero a Renon si potevano schierare 4 stranieri, l’anno dopo si è passati a 5 stranieri e 5 comunitari, a Milano, giocando contro i francesi, non c’erano limiti. In BNL, invece, si potevano schierare 8 giocatori stranieri, con una regola che è rimasta la stessa per po’ di stagioni”. Alla sua prima apparizione con i Flames, Jennings realizza, tra campionato, playoff e coppe, 19 goal e 38 assist in 45 partite, guadagnandosi la conferma per la stagione successiva. L’anno dopo, frenato anche da un infortunio, gioca solo 23 partite, mettendo a segno 14 goal cui vanno aggiunti 14 assist, prima di ritirarsi:“Mi sarebbe piaciuto tornare in Italia. I tifosi sono molto particolari, con il loro incitamento ti danno una carica che altrove non avverti. In Inghilterra c’è grande dedizione e lealtà, ma i tifosi sono un po’ più “riservati”, non sono rumorosi e coinvolgenti come da voi”. Essere un hockeysta professionista, ha i suoi pro e i suoi contro: “Io ho avuto la fortuna di fare una cosa che mi è sempre piaciuta e di essere pagato per farla. Essere un professionista significa essere pronto a dare il tutto per tutto ogni volta, perché comunque questo è il tuo lavoro. E’ ovvio che debba esserci grande rispetto reciproco tra giocatore e squadra, il che include anche il fatto di essere pagato regolarmente. Mi è capitato qualche volta, poche per fortuna, di non trovare questo rispetto, ma penso che il professionismo sia realmente la cosa che fa la differenza”. Hockeysta a tutto tondo, Jennings ha anche giocato a Roller, in estate nelle leghe americane, e si è cimentato persino nel Beach Hockey. “Il Roller può essere un ottimo modo per attirare i giovani, anche perché lo puoi giocare ovunque: su una strada, su un campetto, in una palestra. In questo modo i ragazzi cominciano a conoscere il gioco, ad apprezzarlo e magari poi passano al ghiaccio. Più opportunità di far conoscere l’hockey si creano e meglio è”.