HockeyTimeInItaly: Al Conroy

HockeyTimeInItaly: Al Conroy

di a.te.

Stagione 87/88, il Varese, campione d’Italia, ingaggia, come secondo straniero da affiancare a Denis Houle, Al Conroy, un giovane centro canadese proveniente dal Rapperswil, dove in 36 partite aveva realizzato 30 goal e 32 assist. “Era la mia seconda stagione da pro. Il mio agente aveva ottime relazioni con il Varese e così provai l’avventura italiana. – ricorda Al Conroy – Avevo giocato in Svizzera e mi ero trovato molto bene. C’erano molti giocatori di scuola nord americana che conoscevo e che mi avevano parlato molto bene dell’Italia”. Il Varese non riuscì a bissare lo scudetto, anche perché il Bolzano di quella stagione, con Kent Nilsson, Mark Pavelich, Bruno Baseotto, Lucio Topatigh e Mike Zanier, risultò decisamente più forte. “C’erano tanti giocatori che avevano giocato in NHL. Otre a Nilsson e Pavelich, ricordo Orlando, tutta gente che ha contribuito a rendere il campionato italiano di altissimo livello”. Conroy chiuse la regular season con 25 goal e 39 assist in 36 partite, cui aggiunse 6 gol e 4 assist nelle 10 partite di playoff disputate. Con un po’ di rammarico, lasciò l’Italia per giocare a Dortmund “L’Italia è un posto davvero meraviglioso. La gente è fantastica, per non parlare del cibo. Giocare in Italia mi ha fatto crescere professionalmente, perché il livello era veramente notevole”. Tornato in Nord America, tutti i suoi sforzi si concentrarono nell’aver la possibilità di giocare in NHL “Lasciata l’Europa, mi dedicai esclusivamente a giocarmi le mie chance di arrivare in NHL. E’ sempre stata la mia ambizione, sin da quando, a 6 anni ho cominciato a giocare ad hockey”. Due stagioni in AHL, con i Red Wings di Adirondack (157 partite, 49 goal e 62 assist) e poi la chiamata dei Flyers “Ricordo ancora il mio esordio. Ho avuto la fortuna di giocare insieme a giocatori come Mark Howe, Eric Lindros, Mark Recchi, gente che fa cose che io non ho mai neanche immaginato. Davvero un piacere vederli giocare, anche durante gli allenamenti”. In NHL Conroy disputa 114 incontri, con 9 goal e 14 assist e ben 156 minuti di penalità “Ovviamente i due giocatori più forti che ho avuto il piacere di incontrare sono stati Gretzky e Lemieux. Il loro livello è assolutamente irraggiungibile, così come la dedizione al gioco”. Nel 94/95 Conroy passa i Detroit Vipers in IHL (71 partite, 18 goal 40 assist) e tenta una prima avventura in Giappone con la maglia dei Nippon Paper di Kushiro. Altre due stagioni in IHL con gli Aeros di Houston (161 partite, 42 goal e 74 assist) e poi il ritorno nella terra del sol levante. “E’ stata un’esperienza molto significativa, non solo per quel che riguarda l’hockey. Il Giappone è un paese molto diverso dal Nord America. E’ stato davvero un bel periodo della mia vita e di quella della mia famiglia”. Con i Nippon Paper disputa 3 stagioni (107 partite, 57 goal e 111 assist) e chiude, dopo 15 anni, la sua carriera da giocatore. “L’hockey in tutti questi anni non è cambiato molto. Adesso i giocatori sono più grossi e più forti fisicamente, ma il modo di giocare è rimasto invariato. L’unica cosa che è cambiata è la dedizione dei giocatori. In passato tutti si adoperavano per far vincere la squadra, adesso sembra che ognuno cerchi piuttosto il successo personale. C’è meno attaccamento all’idea di squadra e più voglia di emergere come singoli”.
Dopo una stagione come assistant coach dei Charlotte Checkers nella ECHL, Conroy è stato per due anni Head Coach degli Spokane Chiefs della WHL, una delle tre Major Junior in Canada, ed è quindi in grado di valutare al meglio il valore dei nuovi giocatori che si affacciano al palcoscenico della NHL: “Il livello della NHL è sceso negli ultimi anni perché ci sono troppe squadre. Probabilmente scambiando i giocatori delle terze e quarte linee NHL con quelli delle prime due dell’AHL , nessuno noterebbe la differenza”. La sensazione, guardando le statistiche della NHL è che alla fine siano sempre i soliti noti a condizionare l’andamento delle squadre, come se non ci fosse un adeguato ricambio generazionale “Sicuramente per giocare in NHL ci vuole molta applicazione e molta esperienza, ecco perché alla fine i giocatori più anziani sono ancora quelli che hanno le migliori statistiche. Giocare ad hockey richiede una grossa preparazione mentale, molti giovani vengono distolti dai problemi che hanno fuori dal ghiaccio e perciò il loro rendimento ne resta condizionato. I più vecchi hanno già passato questa fase e possono dedicarsi più intensamente al gioco”. NHL e le altre leghe pro e junior, facce della stessa medaglia, oppure realtà del tutto distinte? “L’NHL è sempre stata una lega sui generis. I budget delle squadre sono ampiamente superiori a quelli delle squadre di qualsiasi altra lega. Aspetti come il marketing, la pubblicità, il coinvolgimento dei media sono fondamentali. Il pubblico della NHL è un pubblico che può permettersi di spendere 150 dollari per portare la famiglia alla partita. In ECHL, ad esempio, una famiglia vede la partita spendendo complessivamente 50/60 dollari. Lo spettacolo va perciò verso due distinte categorie di persone, chi segue le leghe minori, non segue la NHL e viceversa. La continua espansione della NHL perciò non porta via pubblico all’AHL o all’ECHL, perché il target è comunque diverso”. E realtà come quella italiana, come possono coinvolgere nuovi fans? “Bisogna fare in modo che la gente si diverta a vedere una partita. Dopo che lavori per tutta la settimana, ritrovarsi alla partita deve diventare un modo per stare insieme, con la famiglia. E’ poi importante che ci sia un buon feeling tra i tifosi e i giocatori. Chi sta sugli spalti deve potersi identificare con chi è sul ghiaccio, come se a giocare fosse il vicino di casa o un vecchio compagno di scuola” E l’Italia? “Sicuramente tornerò, per far vedere ai miei figli che splendido posto è e quanto è disponibile la gente”.
Anche per noi sarà un piacere rivederti Al.

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