TORINO – Da Rin a ruota libera

TORINO – Da Rin a ruota libera

di Marco Depaoli

Massimo Da Rin, ampezzano, coach nel tempo di Aosta, Valpe, secondo a Milano e ora Torino, giocatore e anche simbolo di diverse squadre come Cortina e Valpellice. Oggi si trova ad allenare i Torino Bulls, squadra che al momento non naviga in buone acque in quanto ultima in classifica nel campionato di A1. È così difficile allenare, oltre a svolgere un altro ruolo, in una società come quella del Torino che è stata lanciata in serie A più che altro in funzione olimpica?
«Si, lo è. Abbiamo iniziato questo progetto insieme al presidente Oldani tre anni fa con anche l’aiuto sostanziale del Milano, bisogna dirlo. Abbiamo fatto un campionato di A2, un’ottima stagione, dopo di che l’anno scorso s’è praticata la strada di unirsi al Valpellice, che è stata a mio modo di vedere positiva. Quest’anno però ognuno è voluto andare per la propria strada, ed è stato molto difficile perché soldi per costruire la squadra ce ne sono stati veramente pochi. Oltretutto Torino, secondo me, è una città ancora freddina per quanto riguarda l’hockey in quanto non c’è una grande cultura hockeistica oltre al fatto che, probabilmente, non avendo risultati, la gente fa fatica anche a seguire. Oltretutto gli impianti sono quello che sono, e anche in questo momento non potendo usufruire ancora degli impianti olimpici, giochiamo a Torino Esposizioni. Anzi, domani con il Milano giochiamo al Filatoio di Torre Pellice. Siamo sicuramente in gran difficoltà».

C’è stato un primo periodo del campionato che era un disastro, poi un risveglio gel Torino con risultati importanti che l’hanno portato a colmare il gap con le pretendenti alla salvezza. Successivamente un altro tracollo, con altre sconfitte. Questo è dovuto a che cosa?
«All’inizio della stagione giocavamo anche abbastanza bene ma avevamo un problema nel portiere, che poi effettivamente abbiamo cambiato. Poiché, avendo una squadra come la nostra, a livello di talento non era alla pari delle altre squadre, pertanto subivamo molto. Però combattevamo, avevamo anche delle buone occasioni da gol. Successivamente abbiamo cominciato ad ingranare ma abbiamo avuto una fase in cui di nuovo siamo andati in calando. Tuttavia devo dire che noi purtroppo, a differenza di tutte le altre squadre, avendo solo nove attaccanti e in quel momento della stagione solo 5 difensori, come dire, o giocano loro o giocano loro… Mi spiego: per me è molto difficile dare uno stimolo ai ragazzi dal momento che, detto sinceramente, qualcuno l’avrei anche lasciato in panchina. Ma lasciando in panchina qualcuno che non mi rendeva come volevo, non avevo nessuno come ricambio. E senza ricambi non puoi giocare in serie A con due linee e basta, a meno che tu non abbia due linee del livello del Cortina. Questo è un po’ il mio handicap, perché quando voglio dare uno stimolo a dei giocatori che, per scarso rendimento o perché non fanno quelle cose che io vorrei vedere, non ho nessun altro, come invece ha qualsiasi altra squadra, dal Brunico all’Alleghe, parlando di formazioni della nostra fascia, che hanno tanti giocatori locali che possono giocare e possono dare un cambio. Questo stimolo purtroppo io non l’ho avuto. Direi anche che forse una cosa che i miei giocatori patiscono tanto, perché non sono abituati, sono le trasferte. Me ne rendo conto sempre quando viene una squadra giù a Torino. Ad esempio quando vengono quelli di Bolzano, vedo giocatori che mi dicono “eh, però venire fino quaggiù… che lunga…”. Se voi pensate che tutte le settimane noi prendiamo il nostro pullman e andiamo su per l’Alto Adige per, come ci capita, magari anche due trasferte a settimana… Perché noi i primi tempi, se guardate anche i tabellini ad esempio ad Alleghe, siamo andati sotto di 3/4 reti nel primo periodo perché non c’eravamo. Facendo un po’ un’analisi ho capito che noi patiamo molto le trasferte, avendo il roster così ridotto. Ed è un’esperienza nuova anche per me, che sono sempre stato abituato ad avere quattro linee, squadre complete di 22 giocatori».

Purtroppo il Torino, come diceva, è ultimo in classifica e per questo non viene particolarmente seguito dai piemontesi. Non crede che sia anche per il fatto che ci siano un po’ troppi stranieri?
«Questo è un discorso ricorrente. Forse il vero sbaglio è quello di aver dovuto per forza fare la serie A. Questo era da ragionare, forse, con le possibilità economiche che c’erano, ed era sicuramente meglio fare una serie B. Ma questo sempre col senno di poi. È vero che c’è una squadra di comunitari, ma è altresì vero che è quasi impossibile per un budget come il nostro andare a comprare degli italiani (e io sono un italiano e ho giocato ad hockey in serie A per 20 anni) perché le società a cui questi italiani appartengono chiedono cifre di cartellino molto alte. Vi faccio un esempio: ad inizio stagione abbiamo cercato un giocatore del Bressanone, ci sono stati chiesti seimila euro di cartellino. Noi con seimila euro abbiamo preso un comunitario in difesa. Il nostro budget per costruire la squadra, non ho paura a dire le cifre, è intorno ai 130/140 mila euro. Con una cifra del genere, dovendo costruire una squadra per intero, poiché nella regione Piemonte purtroppo per fare la serie A non ci sono giocatori all’altezza, dobbiamo per forza di cose prendere giocatori da altre società o, visto che ci sono i comunitari, prendere i comunitari. Con un budget di questo livello, come potete ben vedere, abbiamo preso giocatori che vanno coi contratti dai 6.000 al massimo ai 12.000 euro. Potete pertanto capire come sia quasi impossibile prendere dei giocatori italiani validi per giocare in serie A. Che poi questi comunitari, anche se sono svedesi e finlandesi, non vuol dire che siano giocatori da Nhl, perché quello che prendono dalle altre squadre noi non ce lo potevamo permettere. Quindi lo sbaglio è il perché sia stata fatta la serie A, su questo posso dare ragione, ma non di costruire una squadra con una cifra “ridicola”, con la quale io oggi come oggi, e grazie al presidente che è dovuto intervenire di persona sul budget, non ho potuto più prendere niente sul mercato. Così mi ritrovo con 15 giocatori e basta, perché i soldi non ci sono. Io sarei anche felicissimo di avere degli italiani in squadra, anche perché allenando le nazionali under 20 degli anni passati ne ho conosciuti tanti, ne conosco anche di bravi, ne conosco anche di meglio di quelli che ho io adesso in squadra come “stranieri” ma, ripeto, l’italiano è quasi impossibile da prendere. Perché nel momento in cui prendo il cartellino, e questo italiano poi viene a giocare da noi logicamente su cifre almeno intorno ai 15.000 euro, tra cartellino e tutto mi viene a costare 20.000 euro. Io con quella cifra ho preso due giocatori e mezzo. La realtà è questa. Ripeto, forse quest’anno, dopo che il Merano ha rinunciato, era meglio non salire per forza come abbiamo fatto, in quanto prima squadra ad essere coinvolta alle spalle del Brunico. Eravamo noi per diritti sportivi, non perché la federazione chi ha portato. Era meglio fare una serie B, come ero convinto anch’io, dove potevamo essere sicuramente più competitivi. Ma anche se guardate il Valpellice, che non ha giocatori italiani se non i propri locali, ha comunque 8 transfer card. Questi 8 transfer card costano di contratto una media di 700/800 euro al mese. Ingaggiare degli italiani sarebbe impossibile anche per il Valpellice. Diciamo così, in giro non ci sono italiani per le nostre tasche».

Quindi possiamo dire anche una parte di responsabilità anche da parte delle altre squadre.
«Si, anche perché loro si lamentano che siamo pieni di stranieri. Va bene, ma nel memento in cui chiediamo un cartellino loro sparano alto. Quindi si vuole l’hockey a Torino, si vuole l’hockey in Piemonte, si vuole l’hockey dove non c’è, ma di fatto… Il discorso alla base potrebbe essere quello che bisogna comunque lavorare bene nei settori giovanili, che non vedo così bene in Piemonte, cosa che invece secondo me stanno facendo abbastanza bene le società della Lombardia, tipo il Varese e il Milano. Sicuramente bisogna cercare di sviluppare meglio per le nostre società i settori giovanili, e quindi avere del materiale “italiano” per le mani. Ma per quanto riguarda le prime squadre, se si vuole essere competitivi e non si hanno dei grossi soldi a disposizione, l’unica strada percorribile è il mercato comunitario. Ma è una strada che non abbiamo seguito solo noi. Il Cortina se non avesse avuto la possibilità l’anno scorso di prendere i comunitari, solo con i giocatori locali non avrebbe potuto fare la serie A, e lo dice lo stesso presidente del Cortina. Uguale è il Varese: se non avesse la possibilità di prendere giocatori con doppio passaporto o comunitari, solo con i locali non potrebbe fare la serie A. E a voler comprare giocatori italiani, chiedete a Mansi o chiedete al Cortina cosa costa un giocatore italiano rispetto a un giocatore comunitario. Molto di più».

Forse Torino, ospitando le olimpiadi, avrebbe potuto essere aiutata da un progetto migliore fatto dalla federazione. Magari prestare al Torino dei giovani in prospettiva nazionale che hanno un basso minutaggio nella propria squadra.
«La federazione purtroppo ha le mani legate. Perché si passa in ogni caso attraverso le società: se io chiedo all’Alleghe di darmi Nicola Fontanive… non lo avrò mai, perché vogliono come minimo dei soldi in cambio. Quindi la federazione non può fare niente, giacché dipende sempre dalle società. Dobbiamo poi definire quali siano i giocatori giovani che possano giocare in serie A, perché non ce ne sono così tanti. Se voi tra le varie società cercate tra le prime due linee chi c’è tra i giocatori italiani di un certo livello… di giovani ne tirate fuori pochi. Ce ne sono due a Milano, qualcuno ad Alleghe o Brunico… ma poca roba. Nelle squadre forti i giovani italiani giocano nelle terze linee. Quindi non è che abbiamo questo grande movimento di giovani italiani. È sicuramente una colpa di tutti noi addetti ai lavori, perché sarebbe da sviluppare in miglior modo l’utilizzo dei giocatori italiani».

Prendiamo ad esempio il ruolo del portiere: ce ne sono di validi, però sono sempre troppo giovani per partire titolari. O quando partono titolari, come il caso di Baur l’anno scorso, vengono usati in maniera eccessiva. Baur ha avuto un minutaggio troppo alto in Serie A per la sua età. Non si trova mai il tempo per lanciarli e nel momento in cui andrebbero lanciati ormai sono bruciati. Dovrebbe venire incontro qualcuno, dando magari delle regole forzate, ma obbligando a far giocare i giovani.
«Ci sono dei giocatori italiani molto validi che logicamente devono fare esperienza. Baur avendo la fortuna rispetto ad altri di giocare in una squadra come il Brunico, ha più possibilità rispetto ad altri. Mi vengono in mente altri nomi di validi portieri italiani, come sicuramente Demetz a Milano. Forse meriterebbe di giocare anche di più. Sono d’accordo con te nel momento in cui metti delle regole, quando “obblighi” società ad avere in squadra un determinato numero di italiani, ma anche nell’utilizzo. Mi viene in mente Demetz perché l’ho avuto e lo conosco bene, e purtroppo la sua sfortuna, ma io dico anche fortuna sotto certi aspetti, è di essere in una società come il Milano che punta a vincere. Pertanto una società, come Milano, che punta a vincere ha bisogno sicuramente di un portiere di grande esperienza e di grande affidamento. Demetz devo dire che tutte le volte che viene chiamato in causa, ad esempio contro di noi gioca sempre (sarà che siamo una delle squadre più deboli), gioca molto bene, è un ottimo portiere».

Si potrebbe far l’esempio anche di Asiago, che ha due portieri stranieri e fa giocare un portiere italiano come Lobbia.
«Un po’ dipende anche dalle società. Tante volte c’è questa esterofilia: per forza deve esserci un portiere straniero. Per fortuna che ad Asiago si saranno accordi che Lobbia è meglio di quelli che avevano, e per quello che ho visto io quest’anno secondo me è così. Così a questo punto fanno di necessità virtù, e questo fa solo bene ai giocatori italiani. Io sono ben contento quando ci sono giocatori italiani che se lo meritano: Helfer, per fare un esempio al di sopra delle parti, per me è il miglior terzino che ha il Milano, ed è un italiano. Gli allenatori non è che per forza di cose scelgono di non far giocare gli italiani in quanto tali. Io avessi in squadra qualche italiano di quelli che avevo ai tempi, tipo Comploi e Alderucci, sarebbe meglio della metà di quelli che ho adesso e giocherebbero tranquillamente. Non è che di italiani non ce ne sono, ce ne sono ma non così tanti. Bisognerebbe dare più fiducia e forse, come dite voi, mettere delle regole a proposito. Penso anche che le società dovrebbero cercare, attraverso un gentleman agreement o un regolamento un po’ come stanno facendo nel basket, di avere un certo numero di italiani a roster, ma che poi vada anche sul ghiaccio. Perché c’è poi sempre il gioco delle campanelle, si dice bisogna averne il 50% e poi… Devono anche giocare questi giovani, bisogna dare fiducia e invogliare maggiormente il lavoro dei settori giovanili».

Nonostante l’ultima posizione, siete ugualmente fiduciosi di uscire vittoriosi da una serie di playout?
«Siamo in una condizione di società sinceramente abbastanza disastrosa: a partire dallo stadio dove stiamo giocando, mancano le strutture idonee, il general manager Moisio ha dato le dimissioni, c’è solo il presidente Oldani e ci sono io come allenatore che in questo momento faccio un po’ di tutto; c’è anche qualche giocatore che mi dà una mano, come Bortot che fa anche da magazziniere. Quello che posso dire io in queste due settimane di allenamenti, è che anche se siamo pochi giocatori la squadra, con anche il sottoscritto, metterà il meglio che potrà dare sul ghiaccio. Sono convinto che, se sarà playout, ce la giocheremo almeno al 50% con l’altra squadra, anche perché con una di quelle formazioni che andremo ad incontrare, che sia l’Alleghe, il Renon o il Brunico, ad oggi, per quanto riguarda gli scontri diretti, siamo abbastanza alla pari: abbiamo vinto e perso».

La partenza di Moisio condizionerà la squadra?
«Sicuramente, perché Marco è una persona che sapeva fare di tutto. La domanda però andrebbe girata al presidente. A livello organizzativo nostro siamo molto carenti, siamo in due persone a mandare avanti questa squadra, personalmente ne sento parecchio la mancanza ».

Quali saranno le prospettive per il futuro?
«È un discorso difficile. A parte la Regione Piemonte che ha dato un buon contributo, e il Toroc con il suo manager Jukka-Pekka Vuorinen che ha dato una mano alla società, tutto quanto grava sulle spalle di Oldani. Pertanto il presidente (per quanto ne so io) se avrà delle garanzie, se avrà un aiuto maggiore da sponsorizzazioni, da politici o da chi può avere un interesse che personalmente non ho visto in questi ultimi due ultimi anni nella città di Torino, sicuramente andrà avanti. Se no probabilmente (lui è uno che non vuole demordere) accetterà ben volentieri una retrocessione o un’autoretrocessione. Ad ogni modo vuole continuare l’attività dell’hockey: ha una passione molto forte, ha messo di tasca sua in questi anni parecchi quattrini, e quindi non vuole mollare. Giocoforza dimostra però che se non ha un budget adeguato e di conseguenza un roster adeguato, è logicamente meglio fare un campionato inferiore».

Un bilancio degli ultimi tre anni?
«Il primo anno molto bene, sia come risultati che come esperienza Avevamo una squadra con italiani molto bravi, tra cui anche quelli di Varese (Silva, Toletti, Rizzo…), avevo qualche ragazzo molto bravo e giocatori di esperienza come Alderucci, Comploi, Olivo… Una bella squadra, abbiamo poi perso la finale con l’Appiano ma tutto sommato un anno molto positivo. L’anno scorso è stata fatta questa avventura col Valpellice, anche lì positiva. Tanti dicono che è stato un disastro ma non è vero, se pensiamo che non abbiamo raggiunto i playoff per un gol di differenza col Renon… nemmeno per un punto, ma per una rete. Per me è stata un’esperienza positiva, alla fine abbiamo perso 5 terzini titolari, eravamo un po’ con i cocci rotti e non siamo riusciti a restare dentro. Però è stato un anno positivo, perché ha permesso a una società alla quale sono molto affezionato come il Valpellice di continuare ad esistere perché sia il Torino che il Valpellice l’anno scorso a livello finanziario si sono dovute unire proprio per continuare a vivere con un hockey di buon livello. Questo è un anno molto duro anche perché pensavamo che, con il discorso delle Olimpiadi in vicinanza, ci fosse un maggiore interesse della città di Torino verso questa disciplina, e anche da parte dei politici. Mi ha colpito molto l’intervista di Oldani su Tuttosport di qualche settimana fa: quando ha incontrato il sindaco di Torino, questo gli ha chiesto “ma c’è l’hockey di serie A a Torino?”. Non so se fosse una domanda provocatoria o proprio una vera non conoscenza della nostra squadra, ma, come dite voi, a Torino esiste solo la Juve calcio, il Toro calcio, e il resto non esiste. Ad ogni modo lo ripeto, le prospettive della nostra squadra sono chiare: noi metteremo tutto e di più per fare il meglio. È un ottimo gruppo di ragazzi giovani, sicuramente con poca esperienza, ma che in tante partite mi ha dato la fiducia per poter credere in loro, e questo mi dà la forza di terminare la stagione con i ragazzi, benché personalmente durante la stagione ci siano stati dei momenti in cui francamente avrei lasciato il mio incarico, anche per dare uno stimolo alla squadra. In questo momento mi vedo fiducioso, anche perché la salvezza sarebbe un grande risultato per una società come la nostra».

Intervista trasmessa venerdì 21 gennaio a Spazio Hockey, Radio Padania Libera, in studio Fabio Dragoni, Edoardo Tin e Stefano Sala

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