Intervista a Marco Depaoli commentatore radiofonico della trsmissione Spazio Hockey

Intervista a Marco Depaoli commentatore radiofonico della trsmissione Spazio Hockey

HT: Alla luce dei risultati finali di questo campionato un suo commento sulla stagione appena conclusa ed una valutazione qualitativa di quanto espresso sul ghiaccio.

MD: Sarà che ultimamente eravamo abituati a vedere sempre le stesse squadre, sarà il piacere di rivedere maglie da groppo in gola tipo Cortina e Varese, ma il campionato di quest’anno, nonostante il pessimismo della vigilia, è stato quantomeno gradevole. Certo non è gratificante vedere giocare partite a una porta sola quando scendono in pista le cenerentole del campionato, ma l’eterogeneità del torneo va valutato in senso positivo. Anche in occasione della seconda fase, laddove tutte e otto non rischiavano il posto play-off e quindi dove l’interesse poteva venire meno, il buon livello del gioco ci ha regalato un torneo divertente. A parte la finale a tinte forti, ci si aspettava forse qualcosa di più dai play-off, apparsi un po’ troppo scontati e a questo non è stato d’aiuto il suicidio del Bolzano, se non per restituirci un favoloso Cortina. Dovremmo cercare di accantonare i ricordi degli anni d’oro dell’hockey. Finiamola di fare paragoni con tempi remoti al momento irripetibili. Non possiamo più pretendere la qualità di gioco degli Napier e dei Romano. Quei tempi sono passati, e non torneranno forse più. Valutiamo il nostro campionato sotto l’ottica dei nostri giorni. Il trend è positivo, si sta recuperando un buon pubblico da un po’ tutti i campi, il livello medio del gioco non è spettacolare come al di là delle Alpi, ma il campionato di quest’anno è un ottimo punto di partenza.

HT: Vorremmo un suo giudizio sulle singole squadre che hanno dato vita a questo campionato:

MD: Tutte le squadre, o quasi, hanno svolto il loro ruolo sul palcoscenico del campionato italiano. Milano doveva vincere, soprattutto dopo aver perso per strada tutti i traguardi volanti, e senza strafare ha regalato ai suoi tifosi non solo una tripletta con pochi precedenti, ma soprattutto ha ridato loro i tanto agognati colori rossoblu.
L’Asiago è stata ancora una volta la controprotagonista, l’antimilano, e forse la ferita lasciata in quel secondo tempo del primo aprile non si cicatrizzerà molto presto. Tra il presidente Mantovani (e i suoi sforzi economici) e il secondo scudetto si sono incuneati come lame solo episodi. Si potrebbe dire che l’Asiago esce a testa alta dal campionato e che possa ritenersi orgoglioso di aver lottato alla pari con il Milano, ma nello sport il secondo non è che il primo degli ultimi.
Zitto zitto il Fassa ha fatto il suo solito onesto campionato. Semifinali: niente di più, niente di meno. Buon lavoro di Ivany, quanti vecchi ricordi tra il Piranesi e il Palafiera per lo zio Ron, ottimi i giovani locali, valida la società che ancora una volta è tra le prime a metterci la faccia per promuovere l’hockey. In campionato il Fassa poteva fare male a qualcuno, ma non l’ha fatto.
Fa bene il presidente Moser a spaventarsi per ciò che si attenderanno i tifosi l’anno prossimo: il Cortina è ritornato prepotentemente nell’hockey che conta. Accettato all’ultima riunione per grazia ricevuta, i cortinesi hanno assemblato i ragazzi nati e cresciuti tra le proprie juniores, hanno reclamato la paternità di giocatori “prestati” qua e là come il buon Canei e hanno cementato il tutto con dei validissimi giocatori dell’Est e scandinavi, scelti non aprendo una pagina a caso di un annuario estero, ma puntando il dito su chi dà del tu all’hockey. Ne è nata una squadra che ha saputo mettere cuore e muscoli, e partita dopo partita si è passati dall’obiettivo salvezza a quello play-off, sognando ad occhi aperti dopo aver umiliato il Bolzano, come non accadeva da trent’anni.
Quasi impossibile dare un giudizio al Bolzano: da applausi a scena aperta fino a una manciata di giornate dal termine, vergognoso l’epilogo. Sole e luna, paradiso e inferno, dottor Jackill e mister Hyde. Vere e proprie imprese (indimenticabile rimonta alla seconda giornata a Milano, coppa Italia e unica squadra a uscire vittoriosa dall’Agorà) rovinate al momento più importante della stagione da tre o quattro prestazioni inguardabili. Uno spogliatoio spaccato e le spalle voltate dei giocatori ai quali erano riposti i sogni per tornare al top, sono le ultime immagini della stagione biancorossa.
Se Bolzano piange, ad Alleghe e a Merano non ridono di certo. Gli agordini solo due anni fa avevano strabiliato eliminando in semifinale il Bolzano e arrivando secondi fermati solo dal Milano versione ciclo scudetto. Nelle ultime due stagioni l’Alleghe non è più stato in grado di fare la voce grossa e le ragioni non sono chiare, come non sono state chiare le situazioni grottesche che hanno visto più di un giocatore d’oltreoceano fuggire come un profugo cubano verso le coste a stelle e strisce. Dopo la non felicissima stagione con il Merano, Therriault aveva ancora una chance per dimostrare di essere il sergente di ferro di una volta, ma i risultati gli hanno dato torto.
Il Merano ha svolto un campionato a tre velocità: una prima fase modesta data da un’incertezza sorta dal travaglio interiore di rimanere coerenti con la politica dei giovani locali e il rispetto del patto “a stretta di mano” dei tre stranieri, e l’ambizione di tenere il passo con le grandi ingaggiando giocatori esteri di un certo livello. L’infortunio di Aufderklamm ha scoperto un po’ le carte e ha permesso prima di valorizzare un futuro talento, Tragust, e poi di cedere alle lusinghe di un goalie internazionale lasciato appiedato dal Torino, Mohoric, che in più di un’occasione ha tolto le castagne dal fuoco. Nel girone di ritorno i meranesi hanno mostrato di essere dopo il Milano la squadra più in forma ma una volta imboccata la seconda fase s’è completata la parabola gaussiana con il crollo dei sudtirolesi fino al settimo posto che tradotto in termini spicci è significato Milano e quindi ennesima esclusione ai quarti.
Non poteva fare di più il Renon, ultimo del girone dei Big, che, euforico per la qualificazione ai play-off per il rotto della cuffia all’ultima giornata, ha dato ancora una volta ai propri giovani la possibilità, assieme a validissimi stranieri che fanno tuttora gola alle maggiori squadre, di mettersi in mostra.
Rimasti in serie A aggrappandosi con i denti, i Lupi pusteresi hanno dovuto inseguire questo traguardo dalla prima all’ultima giornata. Dopo una prima fase mediocre, la sostituzione di un paio di giocatori (Rebolj e Duthie per Sebastian e Bruck) ha portato nuova linfa alla squadra di Shea che ha continuato a risalire la classifica fino a giocarsi nell’interminabile spareggio play-out contro il Torino la permanenza in serie A. Nelle ultime partite si è fatto sentire anche il nutritissimo pubblico di Brunico (fino a 1.800 persone), rappresentato anche in trasferta a Torino e Varese.
Per Gherdeina (inqualificabile la prima fase, dignitosa la seconda), Egna, Appiano e Caldaro non c’è stato campionato se non tra di loro, soprattutto tra le ultime due spalla a spalla per primeggiare nel “derby del vino”. Sicuramente una serie B sarebbe stata per loro più indicata ma di certo, innocentemente, erano convinte che il “patto” dei tre stranieri fosse rispettato da più formazioni e di poter quindi aspirare a disputare partite più alla loro portata; tuttavia, a loro stesso dire, è stata ad ogni modo un’esperienza unica per i giovani e un momento d’orgoglio per tutti.
Capitolo a parte per Varese e Torino. I gialloneri sono tornati dall’inferno sulle ali dell’entusiasmo dato dal successo del campionato di B dell’anno scorso e della partita revival con Gellert e Corsi. Sinceramente ci si aspettava qualcosa di più sotto il profilo dei risultati ma un po’ la sfortuna, un po’ per l’eccessivo andirivieni in spogliatoio, hanno chiuso la strada dei play-off che era rimasta a lungo alla loro portata. La vittoria della Coppa del Presidente è una magra consolazione ma l’importante per quest’anno era esserci e c’è stata pur sempre l’occasione di festeggiare tra i tifosi un trofeo toccabile con mano. Un peccato però vedere in panchina o in tribuna molti tra i promettenti giovani che Varese ha cullato negli ultimi anni e che fino a 12 mesi fa hanno retto la baracca.
Disastroso il Torino. Doveva essere il catino della nazionale olimpica, dovevano militarci i più forti oriundi scritturati oltreoceano dagli innumerevoli camp federali, doveva competere per lo scudetto, doveva far innamorare i torinesi dell’hockey, doveva diventare un veicolo pubblicitario, uno specchietto per adulare i vecchi marpioni dei mezzi di informazione nazionali. Non è successo niente di tutto questo: una valanga di finlandesi e svedesi teletrasportati a Pinerolo dalle terze linee di serie C di qualche paese di pescatori della Regione dei mille laghi, impianti indecorosi e fatiscenti, una sola partita giocata sotto la Mole (a porte chiuse), silenzio totale della città di Torino, visibilità dell’hockey da mandare in crisi i più esperti appassionati delle cacce al tesoro, tifosi (della Valpellice e Pinerolo) costretti a tifare una squadra non loro e una maglia senza una città, una retrocessione imbarazzante oltre alla delusione di essersi fatti scappare i play-off negli ultimi 60 minuti per un punto. Un vero peccato per chi ha messo anima e pecunia per questo progetto a partire dal presidente Oldani e Massimo “Ciue” Da Rin, tempra cortinese, factotum della squadra: allenatore, dirigente, selezionatore, talentscout e, se servisse, anche autista, che s’è districato tra ingaggi discutibili dettati dai limiti economici del Torino e campioncini per loro ingestibili sotto il profilo disciplinare (Mohoric e Kuikka) che hanno trovato la loro giusta dimensione altrove dimostrando il loro valore lontani dal Po.

HT: Qual è secondo lei il giocatore che valuta come il migliore della stagione e che ha espresso il miglior hockey?

MD: Per non fare i soliti nomi (ovvero quei non più giovanissimi giocatori che memori degli anni d’oro piazzano quando serve la loro indiscutibile classe) un merito va a quei giocatori che militando in squadre di rango inferiore, sono riusciti a fare la differenza. Tra tutti Rickmo è stato senza dubbio il pericolo numero uno per qualunque avversario. Ottimo anche Thornton del Brunico e Gorman dell’Egna, fisico non possente ma velocissimo e preciso al tiro: delittuoso per il nostro campionato lasciarseli scappare.
Quest’anno si sono anche visti dei promettenti giovani che, nella speranza che non si perdano per strada, potranno nei prossimi anni dire la loro, a patto che vengano fatti giocare: Tragust, Mantese, Donati, Lutz, Daccordo…
Se il campionato fosse finito a febbraio invece non avrei avuto dubbi nel dire che la coppia degli Omicioli sarebbe stata la più esplosiva degli ultimi due anni. Una perfetta intesa, gioco sostanzialmente pulito a punta di stecca. Praticamente hanno portato loro la Coppa Italia a Bolzano e han tenuto così in alto i Foxes che s’erano anche trovati in testa alla classifica. Poi il business ha seppellito il gioco e ha buttato all’aria un posto per i fratellini nella storia dell’HCB e soprattutto la maglia azzurra.

HT: Come giudica l’iniziativa federale di dare vita il prossimo anno ad un campionato a 10 squadre e cosa si aspetta da essa?

MD: è decisamente la soluzione migliore. Eravamo tutti d’accordo già all’inizio dallo scorso settembre. C’è la volontà da parte della federazione di far rispettare questo numero e sarebbe triste se qualcuno alzasse ancora la voce chiedendo di voler ammettere questa o quell’altra squadra. Da 12 anni non si ha un campionato con lo stesso numero di squadre dell’anno precedente, l’ultima società promossa sul campo è stato il Courmaosta nel lontano 1993 e l’ultima retrocessione reale risale all’anno prima. Ridicolo. In tutti questi anni le partecipanti al campionato sono state ammesse ad alzata di mano o dando retta alle voci più grosse e ai portafogli più a fisarmonica. Questo perché quasi nessuno ha una linea costante di gestione della propria squadra. Basta un microscopico sponsor in meno sulle maniche della divisa per rendere difficile permettersi la massima serie, o in serie C basta un finanziamento piovuto da qualche eredità di una prozia defunta per allestire una squadra che seppellisce le concorrenti con 20 reti di scarto a giro. Purtroppo le cose vanno così. Dal prossimo anno anche in serie C ci sarà l’obbligo per le società di possedere un settore giovanile. Chi non riuscirà a costituirlo, perché non può permetterselo economicamente o perché sono solo un gruppo di amici che si ritrova sul ghiaccio tre sere alla settimana, si dovrà accontentare della Uisp. Vedo positivamente questa regola; se non si riesce a costruire una società a partire dai giovani ci ritroveremo sempre in questa situazione. Basti pensare alla meteora Lecco. Nonostante tutti i consigli piovuti da un po’ tutti, in primis dallo stesso Comitato Regionale Lombardo, i Taurus hanno voluto spendere lo spendibile allestendo una formazione di validi giocatori residuati da scomparse squadre o da talenti che hanno accantonato gli alti livelli per motivi personali o di lavoro. Grande stagione, vinta a mani basse, grandissimo pubblico, a volte 1.000 spettatori peraltro paganti (!), mondiali femminili. E adesso? All’avveniristico Palataurus si son visti solo musical con pattinatrici brasiliane con la frutta in testa. Da vera Repubblica delle Banane.
All’hockey serve una programmazione, siamo sulla strada giusta, speriamo di continuare così.

HT: Mercato: indipendentemente dai nomi in quale direzione si dovranno muovere le singole società per prepararsi alla prossima stagione?

MD: Mai come quest’anno finalmente s’è capito quanto occorra giocare d’anticipo. Anche per questo è stato importante sapere già da subito le partecipanti del prossimo campionato. Sapere che tipo di squadra occorrerà allestire e per quale torneo. Presto verrà ufficializzato anche il calendario (al vaglio delle società per l’approvazione): non accadeva da troppo tempo. Icona di questa situazione è il Bolzano: di solito si sentiva parlare dei Foxes a fine agosto… si iscriveranno anche il prossimo anno? Verranno riconfermati i giocatori locali? Quante ore prima dell’ingaggio d’inizio si riuscirà a fare il primo allenamento? Tutti questi interrogativi, non solo riferiti ai biancorossi, hanno per anni fatto partire le squadre con il piede sbagliato e non è stato certo positivo nemmeno per la campagna abbonamenti. In pochi se la sentono di tirare fuori il portafoglio senza sapere se la propria squadra lotterà per il titolo o per la Coppa del Presidente. Muoversi adesso poi, al di là dei nomi degli ingaggi, vuol dire non doversi accontentare a settembre degli scarti degli altri Paesi o dei saldi delle svendite di fine stagione. Si può cominciare a fare il gruppo e sarà un vantaggio per lo spettacolo sul ghiaccio, evitando così di vedere le prime partite con giocatori sordi tra loro e una tecnica da “viva il prete”, ossia disco lungo e pedalare. Dalle notizie che si sentono, sembra che nelle prossime settimane potremmo già cominciare a vedere dei roster quasi completi. Le intenzioni del Bolzano sono per una volta lungimiranti: la prima mossa infatti non è stata confermare o cercare un giocatore o un allenatore con qualche yearbook d’oltreoceano, spulciando tra i nomi vagamente paisà o ascoltando i consigli di qualche vecchio compagno di brigata. L’ingaggio di Zarrillo poche settimane dopo la fine del campionato vuol lanciare un segnale chiaro di programmazione: il Falco Nero conosce Bolzano, è un uomo carismatico che ha lasciato indelebili ricordi in riva al Talvera e ha una profonda esperienza anche in campo internazionale.
Un’altro buon motivo per vedere positivamente l’estate che verrà, è che verranno evitati i balletti sul numero degli stranieri e oriundi. Così ai microfoni di Spazio Hockey mesi fa assicurò anche lo stesso Mantovani, uno dei primi assieme ad Appiano, Brunico ed Alleghe a schierarsi apertamente 12 mesi fa per una riduzione drastica dei giocatori non italiani. Si comincia ad ottenere una certa stabilità, e influirà positivamente sulle campagne acquisti che si intensificheranno i prossimi mesi.
Da non dimenticare i giovani. Con l’apertura a 10 nuovi Paesi non è chiaro se veramente ci sarà la libertà di visitare Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Slovacchia e Paesi Baltici con un carrello da ipermercato, visto che suddetti Paesi non hanno sottoscritto tutti i trattati della Comunità europea. Comunque sia spero che questi giocatori non chiuderanno del tutto le porte ai nostri giovani che non dovranno pretendere il posto fisso di diritto, ma che almeno sia data loro una possibilità in più.

HT: Capitolo nazionale; come giudica i risultati appena ottenuti ai mondiali?

MD: Col senno di poi possiamo dire che tornare in serie A non sarebbe stato impossibile, ma alla vigilia del mondiale avremmo quasi fatto la firma per il secondo posto. Negli Anni 90, quando l’Italia toccava il sesto posto nel Gruppo A, ci si chiedeva quanto sarebbe potuto durare l’avere una nazionale maggiore così in alto mentre le selezioni juniores lottavano tra la serie B e C. Oggi “finalmente” abbiamo la nazionale di Goulet più o meno allo stesso livello dei risultati dei ragazzi di Kostner. Non dobbiamo illuderci di poter tornare a pareggiare con la Russia o la Svezia in un mondiale, gli oriundi che arrivano da noi non sono più gli Orlando e i Vecchiarelli; lo standard del nostro hockey è quello che è, e la nazionale ne è il suo fedele ritratto.
Si pensava che per le Olimpiadi del 2006 ci si muovesse tutti insieme, federazione compresa, ad imbottire il campionato di oriundi come per i mondiali di Ortisei del 1981 e quelli di Canazei del 1987, gli albori dell’hockey spettacolo visto negli Anni 90. Ma erano altri tempi con ben altro giro di soldi. Ora è troppo tardi, non si può più nemmeno sognare. Mi sembra comunque che battere la Polonia a casa loro e umiliare l’Estonia (nonostante varicelle, play-off esteri, zero amichevoli e infortuni vari) faccia tranquillamente passare in secondo piano la mancata promozione. Poteva andare decisamente peggio. Goulet è veramente un mago come lo dipingono le alte sfere o è un gran fortunello? Visti i risultati ottenuti è sicuramente difficile criticarlo.

HT: Crede che la presenza della squadra torinese nella massima serie nazionale possa essere un incentivo per il nostro movimento in vista delle Olimpiadi?

MD: Ora come ora se si pensa di replicare ciò che è stato fatto quest’anno, la correlazione tra una squadra di hockey a Torino e un incentivo per il movimento è tendente allo zero. Tanto per cominciare perché “Torino” è solo un nome, stiamo parlando praticamente della vecchia Valpellice, poi perché i mass media, ci sia Torino in NHL o nell’Uisp, preferiscono ugualmente trasmettere una sintesi del campionato coreano di calcio (è successo veramente).
Inoltre c’è da chiedersi: ma dove hanno intenzione di giocare? Pensano di fare ancora un tour per il Piemonte e rimanere a debita distanza dal capoluogo? O di puntellare ancora Torino Esposizioni con un pubblico a invito, con consumazione obbligatoria dopo le 22?
Sarebbe curioso fare un sondaggio tra i torinesi per individuare il livello di conoscenza riguardo l’esistenza nella loro città di una squadra di uno sport che non tira calci a un pallone e che viene chiamato hockey da gente bizzarra che inspiegabilmente non va al Delle Alpi. Per cui che Torino il prossimo anno faccia la A o la B in queste condizioni è assolutamente indifferente. Quasi quasi mi verrebbe da pensare che sia meglio per tutti la serie B: giocando in un campionato dal livello inferiore i nuovi tifosi di Torino avvicinatisi all’hockey per la prima volta, coloro che hanno avuto la fortuna la notte di avere in sogno la Madonna che indicava loro il Palaghiaccio, avrebbero una squadra competitiva per il titolo perché alla gente non particolarmente appassionata, i tre quarti del pubblico che si vede ai play-off, come è comprensibile, non piace mai perdere.

Ringraziamo Marco Depaoli per la disponibilità.

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